I sindacati d’oggi – benché esistano ancora – sono l’epitome del collettivismo e – alla luce delle lotte per la libertà individuale ed il diritto al lavoro – credo che queste parole siano estremamente rilevanti:
“L’unica strada per il domani”
“La più grande minaccia per umanità e civiltà, è la diffusione della filosofia totalitaria. Il suo miglior alleato non è la devozione dei suoi seguaci, ma la confusione dei suoi nemici. Per combattere ciò, dovremo capirlo.
Boldrini: abbandonare OGNI atteggiamento autoreferenzialehttp://t.co/mVbNWDDyIe
COLLETTIVISMO è il male PEGGIORE!http://t.co/Gv9w5GFVjg
— Italia dei Dolori™ (@italiadeidolori) September 24, 2013
Il totalitarismo è collettivismo. Collettivismo significa la sottomissione dell’individuo ad un gruppo – non importa se di razza, classe o stato.
Il collettivismo sostiene che l’uomo debba essere incatenato ad azioni e pensiero collettivi, per il bene di quello che viene chiamato “il bene comune“.
Nel corso della storia – quella che davvero in pochi conoscono – nessun tiranno mai salì al potere eccetto che con la pretesa di rappresentare “il bene comune“.
Napoleone servì al “bene comune” della Francia. Hitler fu al servizio del “bene comune” della Germania. Orrori che nessun uomo oserebbe prendere in considerazione
se fossero stati dichiarati per uno stesso “bene egoistico“, ma chiaramente ben perpetrati esibendo un coscienzioso “altruismo” che si giustifica con il “bene comune“.
Nessun tiranno è mai durato tanto a lungo con la forza delle sole braccia. Gli uomini sono stati resi schiavi principalmente da armi spirituali.
E la più grande di queste è proprio la dottrina collettivista che la supremazia dello Stato sopra l’individuo, costituisce il “bene comune“.
Nessun dittatore potrebbe salire al potere se gli uomini non avessero quella fede cieca e la più totale convinzione di avere dei diritti inalienabili di cui non potranno esserne privati, per qualsiasi causa, da un uomo qualunque,
né da un malfattore né da un presunto benefattore. Questo è il principio fondamentale dell’individualismo, al contrario del collettivismo.
L’individualismo sostiene che l’uomo sia un soggetto indipendente con un diritto inalienabile alla ricerca della propria felicità, in una società in cui gli uomini trattano tra loro da pari a pari.
Il sistema italiano si fonda sull’individualismo, anche se – oggi – ne sono abbastanza titubante. Per sopravvivere, dobbiamo capire i principi di individualismo e tenerli come nostro standard in ogni questione pubblica,
in ogni questione che abbiamo di fronte. Dobbiamo avere un credo positivo, una fede chiara e consistente.
Continua...
generale. L’unica società felice è quella delle persone felici. Non si può avere una foresta sana composta da alberi marci.
Il potere della società deve essere sempre limitata dai diritti fondamentali, inalienabili dell’individuo.
Il diritto di libertà significa il diritto dell’uomo all’azione individuale, alla scelta individuale, all’iniziativa individuale e della proprietà individuale. Senza il diritto alla proprietà privata nessuna azione indipendente sarà possibile.
Oggi, possiamo constatare la volontà persistente per la distruzione del concetto di proprietà privata, dell’identità dell’individuo, della famiglia, della religione. Politiche illuministe comuniste di stampo babuvista buonarrotiano, già tentate nei
tempi passati.
Il diritto alla ricerca della felicità significa il diritto dell’uomo di vivere per se stesso, di scegliere ciò che costituisce il suo privato, la felicità personale e di lavorare per la sua realizzazione.
Ogni individuo è il giudice unico e finale in questa scelta. La felicità di un uomo non può essere a lui prescritta da un altro uomo o da un qualsiasi numero di altri uomini. Questi diritti sono l’incondizionato, personale, privato possesso individuale di ogni uomo, concessogli dal fatto della sua nascita e che non richiede nessun’altra sanzione.
Tale era la concezione di un tempo, concetti che ponevano i diritti individuali al di sopra di ogni e di tutte le azioni collettive. La società potrà solo esser simile ad un vigile urbano nel rapporto degli uomini tra loro.
Fin dagli inizi della protostoria, due antagonisti resistevano faccia a faccia, due tipi opposti di uomini: l’attivo ed il passivo.
L’uomo attivo è il produttore, il creatore, l’originatore, l’individualista. Il suo bisogno fondamentale è l’indipendenza – per pensare e lavorare. Non ha bisogno né cerca il potere sugli altri uomini – né può fungere sotto qualsiasi forma di costrizione. Ogni tipo di buon lavoro – da posare mattoni, allo scrivere una sinfonia – è fatto per l’uomo attivo.
I gradi di abilità umana variano da caso in caso, ma il principio di base rimane lo stesso: il grado d’indipendenza e d’iniziativa di un uomo determina il suo talento come lavoratore e il suo valore come uomo.
L’uomo passivo si trova ad ogni livello della società: nei palazzi e nelle baraccopoli ed il suo marchio di identificazione è la sua paura d’indipendenza. E’ un parassita che si aspetta di esser curato da altri. Quello a cui si devono dar le direttive. Fatto su misura per obbedire, per sottomettersi, per essere disciplinato, per esser comandato. Proprio come possiamo osservare oggi con gli zerbini di turno, quelli che si prostrano agli ordini dei cosiddetti “poteri forti” e che “a loro insaputa“, saranno presto spodestati dalle comode poltrone per esser gettati via come immondizia puzzolente, non appena i manovratori del vero potere raggiungeranno i loro obiettivi. Questo tipo di uomo – dicevo – accoglie e dà il benvenuto al collettivismo. Vi chiederete per quale motivo. Per il semplice motivo che questi si vedrà eliminare ogni possibilità di poter pensare o agire di propria iniziativa.
Quando una società si basa sui bisogni dell’uomo passivo, distrugge quello attivo. Ma, quando l’uomo attivo sarà distrutto, quello passivo non potrà esser più curato.
Quando una società si basa sulle esigenze dell’uomo attivo, questa porterà quelli passivi lungo la sua energia e li farà nascere come questa andrà a rinascere, come sale della società. Questo è sempre stato il modello di ogni genere di progresso umano.
Alcuni umanitari richiedono uno stato collettivo perchè avranno pietà per l’uomo incompetente o uomo passivo. Per il suo bene, desiderano usare l’uomo attivo. Ma l’uomo attivo non può funzionare da imbracatura ed una volta che lo si distrugge, la distruzione dell’uomo passivo seguirà automaticamente.
Quindi, se la pietà è la prima considerazione degli umanitari, allora – nel nome della pietà stessa – se non altro, si dovrebbe lasciar l’uomo attivo libero di fungere, al fine di aiutare quello passivo.
Non c’è altro modo per aiutarlo, a lungo andare.
La storia dell’umanità è la storia della lotta tra l’uomo attivo e l’uomo passivo, tra l’individuale ed il collettivo.
I paesi che hanno prodotto gli uomini più felici, i più alti standard di vita ed i grandi progressi culturali, sono stati quelli in cui il potere del collettivo – del governo, dello Stato – fu limitato ed all’individuo fu data libertà di azione indipendente.
Cito degli esempi:
L’ascesa di Roma, con la sua concezione del diritto fondato sui diritti del cittadino, oltre alla barbarie collettivista del suo tempo.
L’ascesa d’Inghilterra, con un sistema di governo basato sulla Magna Carta, oltre al collettivista, alla Spagna totalitaria.
L’ascesa degli Stati Uniti, con un grado di realizzazione senza pari nella storia – per grazia della libertà individuale e l’indipendenza che la loro Costituzione diede ad ogni cittadino contro il collettivo.
Mentre gli uomini stanno ancora riflettendo sulle cause dell’ascesa e caduta delle civiltà, ogni pagina di storia ci grida di esistere, cerca di far comprendere da dov’è sempre derivata la fonte di progresso:
uomo singolo in azione indipendente.
Il collettivismo è l’antico principio della barbarie. L’intera esistenza di un selvaggio è sempre dominata dal leader della sua tribù. La civilizzazione è il processo di liberare l’uomo dagli uomini.
Ora siamo di fronte ad una scelta: andare avanti o tornare indietro.
Il collettivismo non è il ‘Nuovo Ordine di domani’. È l’ordine di un ieri molto scuro.
Ma c’è un nuovo ordine di domani. Appartiene all’uomo individuale – l’unico creatore di ogni umanità del domani mai stata concessa.
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Forse una terza via sarebbe auspicabile…
Manca, in questo articolo, l’approfondimento della fondamentale controparte antagonista liberale, della quale pare voler andare a parare o, suggerire l’articolo. Certo che il collettivismo ha avuto le sue mancanze, ma credo che non abbia nulla a che vedere con l’individualismo degenerativo che il mondo ci sta offrendo così abbondantemente tramite il suo canale preferenziale, il liberismo. Il collettivismo se lo si interpreta con la guida del “capo” è certamente portatore di conseguenze, inferiori comunque all’individualismo liberale, questo è, a mio avviso, lapalissiano. Se volessimo invece, interpretare il collettivismo come metodo di supporto fra gli esseri umani, e che possa finalmente ficcarci nella zucca che la sopravvivenza è sempre e comunque collettiva e mai individuale, allora il collettivismo sarebbe, a mio avviso, il metodo migliore attuabile nei nostri tempi.
Parlerei piuttosto di “liberalismo moderno”, ma forse non è il nome corretto per quello che ho in mente. Uso questa frase per indicare l’ultima fase del liberalismo che sta nascendo in Occidente da almeno due secoli e mezzo e – probabilmente – ancor più.
Il liberalismo non fu sempre un’idea malsana, no. Finché moderato da autorità e tradizioni opposte, fu una splendida idea. Fu proprio il crollo di quelle forze moderate che ci ha portati ad un liberalismo moderno, trionfante con tutto il degrado culturale e sociale che segue la sua scia. Oggi ne abbiamo le prove evidenti.
Se non lo vogliamo pensare come “liberalismo moderno”, lo possiamo sostituire anche con “liberalismo radicale” o “liberalismo sentimentale” o perfino – dio ce ne salvi – “post-liberalismo”.
Qualunque nome vogliamo utilizzare, la maggior parte di noi ne riconoscerebbe la specie. Le caratteristiche che definiscono il liberalismo moderno sono egualitarismo radicale (l’eguaglianza dei risultati piuttosto che delle opportunità) ed individualismo radicale (la drastica riduzione dei limiti alla gratificazione personale). Ben conosciamo – si auspica – le correnti distruttive protocomuniste babuviste.
Potrebbero apparire una strana coppia: per l’individualismo diamo il significato di libertà e la libertà produce disuguaglianza. Mentre, l’uguaglianza dei risultati significa coercizione e – la costrizione – distrugge la libertà. Se dovessero funzionare contemporaneamente, egualitarismo radicale ed individualismo radicale – dove questi entrerebbero in competizione – dovrebbero esser tenuti a parte, operare in diverse aree della vita.
Questo è esattamente quello che si vede nella cultura di oggi.