È difficile poter spiegare in un articolo decenni di ricerca e studio sulla storia delle idee, filosofie politiche e dei regimi comunisti come solo Thomas Molnar o Voegelin hanno saputo illustrare. È impossibile far cambiar idea agli intelletti massacrati dal regime propagandistico che ha fatto del mondo occidentale, un mondo di sola immagine e di spasmodica ripetizione terminologica pavloviana.
Quel mondo – come da pensiero engelsiano – con quelle stesse leggi dialettiche del movimento che anche nella storia presente dominano l’apparente accidentalità degli avvenimenti.
È talmente difficile che decido di riportare uno stralcio dal passato, basato sulla grande opera del sacerdote di Cambrai. Scrittore e teologo francese che porta un nome sconosciuto ai più: Henri Delassus.
Lettere dal passato più vive che mai, testimonianze reali che fanno de “Il Problema dell’Ora Presente“, il problema della più grave questione contemporanea che i sistemi ideologici positivisti stanno puntualmente ripresentando nella ciclicità della storia, nonostante questi siano destinati al totale fallimento, come è sempre stato.
La Verità vince. Sempre.
Il Problema della Ora Presente, FALSI DOGMI
Le Play parla di altri falsi dogmi, ai quali egli attribuisce, sebbene in seconda linea, i flagelli scatenati nel mondo dalla Rivoluzione francese e l’avvilimento attuale della nostra patria. Quali son dessi? In qual modo derivano dalla negazione del peccato originale, e come hanno potuto avere una influenza così funesta sulla società? Questi falsi dogmi sono la libertà, l’uguaglianza, la sovranità del popolo, la illegittimità della proprietà.
Come derivano essi dall’affermazione della bontà nativa dell’uomo? È facile il vederlo.
Se l’uomo è buono, se niente lo vizia, se è originariamente perfetto, egli deve essere libero. Se la natura umana è quale deve essere, ha il diritto di potere obbedire alla sua legge come tutti gli altri esseri, di seguire tutti i suoi istinti, e di spiegare tutte le sue energie. Contrariarla, imporle degli ostacoli è un delitto.
L’autorità che si è costituita per porre dei limiti alla libertà è illegittima e malvagia; i suoi codici, i suoi giudici, i suoi carnefici non servono che ad impedire ciò che deve essere considerato come il bene, che, presso noi come presso gli altri esseri, deriva dall’obbedienza alle leggi della natura propria di ciascuno.
Se gli uomini sono tutti buoni, devono essere socialmente eguali: l’ineguaglianza delle condizioni è la suprema ingiustizia, fonte e principio di tutte le altre. Se sono buoni, è inutile il governarli; il potere è una superfetazione tanto malvagia quanto illegittima. Il popolo può e deve governarsi da se medesimo, egli è sovrano.
Infine, se gli uomini sono socialmente eguali, hanno tutti i medesimi titoli a godere i beni di questo mondo; ed ogni proprietà è un furto fatto alla comunità.
Queste conseguenze del principio posto da G. G. Rousseau furono subito comprese; e, senza ritardo, si trovarono certi uomini che le fecero passare dall’ordine logico nell’ordine reale.
“Nelle classi medie ed inferiori – dice Mallet du Pan – Rousseau ebbe cento volte più lettori di Voltaire. Ho udito Marat nel 1788, leggere e commentare il Contratto Sociale nelle pubbliche passeggiate cogli applausi d’un uditorio entusiasta.
È Rousseau che ha inoculato nei Francesi la dottrina della sovranità del popolo e delle sue ultime conseguenze. Appena potrei citare un solo rivoluzionario che non si sia lasciato trasportare da queste teorie anarchiche e non desiderasse ardentemente di tradurle in pratica.
Questo Contratto Sociale, che discioglie la società, fu il Corano degli oratori del 1789, dei Giacobini del 1790, dei repubblicani del 1791 e dei forsennati più crudeli”.(1)
Robespierre sapeva quasi a memoria il Contratto Sociale che non l’abbandonava mai.
(2) La Bastiglia venne demolita per far capire che non si voleva più repressione. Il re venne ucciso per disfarsi dell’autorità. E siccome l’autorità. come tutte le cose necessarie, non cessa di rinascere sotto nuove forme, quando le forme antiche sono state distrutte, la inafferrabile libertà è continuamente seguita da nuove insurrezioni.
La gerarchia è l’opposto dell’eguaglianza, come la dignità reale è l’opposto della sovranità del popolo. Esse furono abbattute ambedue nello stesso tempo.
Non vi son più classi, non più famiglie costituenti le diverse basi dell’edificio sociale; la società non è meglio costituita che gli individui, mucchio di polvere esposta al soffio di tutti i venti.
Resta la proprietà, tanto ingiusta quanto la gerarchia, e di una ingiustizia che offende di più, perché dà agli uni, ad esclusione degli altri, il godimento dei beni che devono appartenere a tutti, essendo i doni della natura appartenenti all’umanità. Perciò le si è fatto subire più d’un assalto e son prese le disposizioni per liquidarla in breve.
Le Play non si è dunque per nulla ingannato. Egli ha visto chiaro; ha detto vero quando ha fatto derivare dall’errore predicato da Gian Giacomo i falsi dogmi della libertà, dell’uguaglianza, della sovranità del popolo, della illegittimità della proprietà; egli ha parimenti visto bene, e detto parimenti il vero quando affermò che da questi falsi dogmi sono usciti, e la Rivoluzione, ed i flagelli ch’essa ha scatenato sul mondo, e l’avvilimento attuale della nostra patria.
Ma bisogna procedere più innanzi. Occorre dimostrare che questi falsi dogmi giungono fino a rendere impossibile la società umana, e se non prestiamo ascolto alla voce di Roma, la quale ci dice che l’Immacolata è, nel genere umano, una eccezione unica, se il fatto della decadenza umana non è di nuovo altamente proclamato, se le istituzioni sociali continuano a porsi fuori di questo fondamento, noi precipiteremo in una irremediabile rovina.
La società umana, quale esiste dal principio del mondo, non solo qua e là, ma sempre e da per tutto, in tutti i tempi, ed in tutti i luoghi, ci presenta le medesime istituzioni: l’autorità e la penalità, la proprietà e la gerarchia.
L’autorità ha assunto ed assume diverse forme, ma si trova nella sua essenza presso le nazioni più incivilite, come presso le più barbare. Inoltre dappertutto l’autorità ha istituito la penalità con codici per determinarne i diversi gradi, i tribunali per infliggerla, la forza pubblica per applicarla. In nessuna società si vedono i cittadini posti nello stesso grado. Dappertutto sono ordinati gli uni al disopra degli altri; dappertutto vi sono superiori ed inferiori; e mille gradi conducono insensibilmente le condizioni più umili alle più elevate.
Dappertutto altresì, la prima cosa che fa saltare agli occhi questa ineguaglianza, è la proprietà. Ove queste cose punto non esistono, è la selvatichezza; ove si trovano in istato rudimentale, è la barbarie; e la loro maggiore o minore perfezione segna i diversi gradi di civiltà.
Se così è sotto tutti i climi, e se fu così in tutte le epoche del genere umano, se sempre e dovunque si riscontra la proprietà, la gerarchia e l’autorità, è mestieri riconoscere in ciò una causa generale e necessaria che s’è imposta dovunque, che ha agito dappertutto, producendo dovunque i medesimi effetti, e costituendo nella stessa guisa le diverse società.
Quale fu questa causa?
Che cosa è che fece sentire dappertutto la necessità dell’autorità e della penalità?
Che cos’è che ha istituito dovunque la proprietà e la gerarchia?
D’onde derivano queste cose?
Per aver la risposta a questa domanda, bisogna vedere qual ufficio adempiono queste cose, per qual fine vi si fece ricorso, o perché e come esse si sono imposte.
Che fa l’autorità nel suo legittimo esercizio? Essa restringe la propagazione del male, favorisce l’espansione del bene. È in ragione di questo doppio servigio di cui sono obbligati riconoscere l’assoluta necessità, che gli uomini consentono di piegar la testa al giogo dell’autorità.
È contro il male che l’autorità ha compilato i suoi codici, istituito i suoi tribunali, armato la sua polizia; com’è in vista del bene da sostenere, sviluppare e propagare che si è alleata alla religione, ha accettato o demandato i suoi soccorsi ed ha protetto la sua azione. Senza il male, l’autorità non avrebbe ragione di essere; se tutti gli uomini fossero naturalmente buoni, non avrebbero mestieri di essere governati; la società sarebbe fondata, non sopra l’autorità, ma sopra la libertà, le tribù selvagge dell’Africa e dell’America avrebbero offerto lo spettacolo della grandezza umana portata al suo più alto punto, e l’Europa co’ suoi governi e con tutte le sue forze restrittive avrebbe condotto l’umanità all’infimo grado di abiezione.
È vero tutto il contrario.
I popoli non si formano, non si costituiscono, non si conservano, non si sviluppano e non si elevano che sotto l’egida dell’autorità. Tutta la storia è là per attestarlo.
Come l’autorità, così l’eguaglianza e la proprietà si trovano là dove gli uomini sono costituiti in società; non solo l’ineguaglianza che deriva dalla disuguale ripartizione che la natura fa de’ suoi doni fisici ed intellettuali, ma eziandio l’ineguaglianza sociale, che consiste in ciò che, indipendentemente da questi doni, gli uomini sono costituiti gerarchicamente, gli uni negli alti posti della società, gli altri nei posti inferiori.
Se questa ineguaglianza si constata dovunque gli uomini sono riuniti in società, è mestieri ch’essa sia, al pari dell’autorità il risultato necessario d’un fatto inevitabile.
Quale è questo fatto?
È ancora la presenza del male in seno all’uomo, e per conseguenza in seno alla società. L’uomo che trionfa del male, in se stesso si eleva moralmente sopra coloro che vi si abbandonano. E se per l’educazione, egli comunica la sua forza morale a’ suoi figli, se questi figli trasmettono a loro volta le buone abitudini e le tradizioni che hanno ricevute, le famiglie, in cui queste tradizioni sono osservate, emergono insensibilmente sopra le altre.
Le schiatte che così seguono il bene, non progrediscono tutte ad un medesimo modo, né raggiungono nel medesimo tempo i diversi gradi della perfezione. Questi gradi diversi costituiscono la gerarchia sociale. Questa superiorità morale non tarda a produrne molte altre. Ed in primo luogo l’ineguale possesso dei beni di questo mondo.
È necessario di dire che la proprietà si associa alla moralità, cioè all’energia maggiore spiegata da questo che non da quello per vincere il male e praticare il bene? Come non vederlo?
La vita dell’uomo vuol essere mantenuta con alimenti quotidiani; se questi mancano, egli se ne muore. Questi alimenti la terra li produce, ma non li dà se non mediante il lavoro. Dio e la ragione sono d’accordo per dire che il frutto del lavoro appartiene a colui che colla sua fatica l’ha fatto nascere. Di qui la proprietà del pane necessario al sostegno della vita.
L’uomo che lavora più del necessario al suo stretto mantenimento e che sa porre un freno a’ suoi appetiti, non perde il diritto di possedere quello che ha prodotto; egli l’ha fatto suo col proprio lavoro, lo fa doppiamente suo colla virtù che spiega per non darsi in balìa delle sue cupidigie.
L’accumulazione dei prodotti così conservati, forma il capitale o la proprietà fissa, e la quantità più o meno grande di questo capitale che sta nelle mani di ciascuno, stabilisce fra i cittadini una prima ineguaglianza, non fisica né intellettuale, ma sociale.
L’indipendenza delle necessità della vita che creano i beni precedentemente accumulati, permette a quelli che li possedono di occuparsi dei loro fratelli, di consacrarsi alla conservazione ed allo sviluppo della prosperità generale. Se lo fanno, essi entrano per ciò stesso in una gerarchia d’ordine superiore a quella basata sulla proprietà, la gerarchia dei migliori. E siccome è naturale lasciar la direzione della società a quelli che hanno tracciato la via del bene e che vi chiamano i loro fratelli collo spettacolo che offrono, nella propria persona, della dignità che conferisce a quelli che lo praticano, i migliori sono divenuti l’aristocrazia.
L’ineguaglianza sociale, la gerarchia sociale provengono dunque dalla diversità dei meriti.
Esse segnano la grandezza e la perseveranza degli sforzi che sono stati fatti non solamente dall’individuo, ma dalla successione delle generazioni d’una stessa famiglia, per lottare contro le tendenze originali, per liberarsi dal male e per sublimarsi nel bene.
Esiste dunque il male nel cuor dell’uomo, e la caduta originale spiega e giustifica la proprietà e la gerarchia, come spiega e giustifica l’autorità. La negazione della caduta rende nello stesso tempo illegittimi l’impiego dell’autorità, la gerarchia fra gli uomini, ed ogni proprietà acquisita fino al giorno d’oggi.
E perciò coloro che traggono le ultime conseguenze dal falso dogma di G. G. Rousseau, i socialisti, vogliono abolire la proprietà, proclamare l’eguaglianza o l’assenza della gerarchia, la libertà o l’abolizione d’ogni autorità: in una parola, distruggere la società.
Il socialismo deriva dalla dottrina dell’immacolata concezione dell’uomo.
Questo non è punto sfuggito a Proudhon.
“Cosa singolare! – dice egli – il socialismo moderno risale all’anatema fulminato dall’autore dell’Emile contro la società. Rousseau non ha fatto che dichiarare in una maniera sommaria e definitiva quello che i socialisti ridicono in dettaglio ed in ciascun momento, del progresso: cioè che l’ordine sociale è imperfetto e che qualche cosa vi manca sempre”.
Più lungi: “Il socialismo aiutato dall’estrema democrazia, divinizza l’uomo, negando il dogma della caduta, e, per conseguenza, butta giù dal trono Iddio, ormai inutile alla perfezione della sua creatura … “Noi siamo posti fra due negazioni, due affermazioni contradittorie: l’una che, colla voce dell’antichità tutta quanta, mettendo fuori di causa la società e Dio, riferisce all’uomo solo il principio del male; l’altra che, protestando a nome dell’uomo libero, intelligente e progressivo, rigetta sull’infermità sociale, e, per necessaria conseguenza, sul Genio creatore ed ispiratore della società, tutte le perturbazioni dell’universo”.(3)
Poiché il socialismo deriva dalla negazione del peccato originale, niente di più radicale è stato proclamato contro di lui, quanto la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, privilegio che a Lei solamente s’appartiene.
Niente di più potente può essere opposto al grande errore ed alla grande minaccia del giorno, quanto la dottrina della caduta originale con tutto ciò ch’essa reclama:
la penalità, necessaria per l’uomo che resta nel male;
l’ineguaglianza, frutto dei diversi gradi onde le anime ritornano al bene;
la proprietà, conservazione del capitale negato al godimento;
le aristocrazie, zone secondo le quali una popolazione s’eleva successivamente nelle vie del risparmio, della giustizia, dell’onore, della carità e della santità;
ed infine, l’autorità che protegge le fasi di questa vegetazione d’un popolo e de’ suoi diritti acquisiti in seno ad una stessa unità nazionale.
Per chi ha saputo leggere oltre le righe, ora sarà piuttosto semplice intuirne il modus operandi, il parallelismo che corre accanto al sistema comunistico insidiatosi nella società contemporanea. Sistema frutto di un idealismo e di uno spirito malato che riprende il cartello comunista di Karl Marx.
Cartello in cui oggi gli adepti celati dietro la maschera politico-istituzionale sono presi dall’ebbrezza e dall’estasi, simili alle baccanti euripidee che agitano il tirso per i loro riti, osannando lo stato di natura dell’uomo, la sua parte primordiale, animale, selvaggia, istintiva: questo è l’inizio della distruzione dello Stato e della Famiglia, della ragione, dello stato sociale e dello spirito umano.
La Religione dell’Uomo.
Rousseau, calvinista, padre dei movimenti totalitari, sta per vincere.
BIBLIOGRAFIA
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