Le riforme neocon del Ministro Wert
Articolo sull’educazione in Spagna ma che riteniamo possa essere perfettamente uno scenario, futuro prossimo, italiano. (n.d.FYM)
Nella Dottrina dello Shock, Naomi Klein, racconta che Milton Friedman, grande guru e leader intellettuale del capitalismo del libero mercato, a 93 anni scriveva sul The Wall Street Journal, che le inondazioni e le catastrofi provocate dall’uragano Katrina nel 2005 erano una tragedia perché la maggior parte delle scuole di New Orleans erano rovinate, dovendo gli alunni andare a scuola in altre zone, ma che era “anche un’opportunità per intraprendere una riforma radicale del sistema educativo”.
The Shock Doctrine – La dottrina dello Shock
La riforma radicale proposta da Friedman comportava che, al posto di spendere gran parte dei miliardo di dollari destinati alla ricostruzione e miglioria del sistema educativo pubblico di New Orleans, il governo consegnasse assegni scolastici alle famiglie perché queste potessero rivolgersi a scuole private e che tali scuole private a loro volta ricevessero sovvenzioni statali in cambio di accettare questa nuova schiera di alunni. L’amministrazione di G.W Bush appoggiò questi piani e in meno di 19 mesi, in contrasto con la paralisi con cui si ricostruivano dighe e la rete elettriche, le scuole pubbliche di New Orleans furono sostituite quasi nella loro totalità da una rete di “scuole charter”, cioè, scuole originariamente create e costruite dallo Stato che passarono ad essere controllate da istituzioni private e secondo le loro regole. Prima dell’urgano Katrina, la giunte statale si occupava di 123 scuole pubbliche dopo ne sono rimaste solo 4. I docenti della città si inorgoglivano di appartenere ad un sindacato forte. Dopo il disastro, i contratti dei docenti diventarono carta straccia e i 4.700 membri del sindacato furono licenziati. Alcuni degli insegnanti più giovani tornarono a lavorare per le scuole charter, con stipendi ridotti. La maggior parte non recuperò il posto di lavoro (Klein, 2007).
New Orleans era, secondo il The N.Y Times “il principale laboratorio della nazione per l’aumento delle scuole charter” mentre l’American Enterprise Institute, un think tank d’ispirazione friedmanan, dichiarava entusiasta che “Katrina era riuscito in un giorno in quello che riformatori scolastici della Louisiana non riuscirono a fare in anni “. Mentre gli insegnanti testimoni di come il denaro destinato alle vittime delle inondazioni veniva dirottato dal loro obiettivo originale e si usava per eliminare un sistema pubblico e sostituirlo per un altro privato, etichettavano il piano di Friedman come un furto all’educazione” (Klein 2007, pag 26).
Questi attacchi organizzati contro i servizi pubblici, approfittando delle crisi provocate per creare “tali opportunità di affari”, è quello che N.Klein chiama “capitalismo del disastro”. Questa stessa musica è quella che suona ora, in Europa dove si sta approfittando l’”opportunità” della crisi economica e finanziaria per consolidare il saccheggio dell’educazione pubblica, iniziata dal governo socialdemocratico precedente, e seguendo le proposte di Friedman da seguire in fretta, per imporre i cambiamenti in forma veloce e irreversibile, prima che la società colpita torni a installarsi nella “tirannia dello status quo”. Considerava che “una nuova amministrazione ha da sei a nove mesi per mettere in moto cambiamenti legislativi importanti; se non approfitta l’opportunità di agire durante quel periodo concreto non riavrà l’opportunità di poter usufruire di una occasione simile” (Friedman e Friedman, 1984, 3).
Milton Friedman ha imparato quanto è importante creare uno stato di shock nella popolazione per facilitare il “trattamento d’urto” del programma di aggiustamento. Approfittare di momenti traumatici collettivi per dare il colpo finale alle riforme economiche e sociali di carattere radicale. Si tende ad accettare questi “trattamenti d’ urto” credendo nella promessa che ci si salverà da disastri maggiori.
Questo “nuovo vangelo” si è trasformato in una sorta di dogmatismo fanatico moderno che praticamente ha smesso di essere giustificato. Nonostante i fatti si dimostrino contrari alla conferma che non si ottiene la “fiducia dei mercati” , che non si produce la crescita annunciata, che i posti di lavoro non aumentano, che la crisi non si supera, non c’è fede più fanatica che quella dei credenti in questo capitalismo del disastro. Non c’è “mito” più straordinario della scienza economica di questo dato che è difficile trovare un altro caso dove i fatti contraddicono tanto una teoria dominante. Ma essi argomentano dicendo che si deve perché i ritagli non sono sufficientemente profondi, che non si è ancora privatizzato a sufficienza, che lo Stato non è ancora stato ben smantellato. La ripetizione di questo catechismo continua su tutti i mass media perpetrata dai politici di destra come di sinistra, conferendo a tale discorso un carico di intimidazione che affoga ogni tentativo di riflessione libera e ostacolando la resistenza contro questo nuovo oscurantismo.
Si tratta di disarmare l’ideologia e moralmente all’insieme della società rispetto alle richieste di un’educazione pubblica, gratuita e accessibile a tutti e in tutti i suoi livelli, con lo Stato come responsabile e garante. Vogliono trasmettere l’idea che s’impone e s’imporrà (faremo quel che c’è da fare) un cambiamento profondo di tutto il sistema educativo, dando per scontato che l’attuale è obsoleto, inefficace di fronte alle esigenze del mercato del lavoro e, principalmente, insostenibile in tempi di “crisi”.
Tutte le riforme e tagli puntano in modo persistente a escludere dal diritto all’educazione pubblica tutta la cittadinanza. Lo proclamava l’OCDE nel 2001: “I programmi educativi non possono essere disegnati come se tutta la popolazione scolare possa raggiungere i suoi livelli più alti”. Si è verificata una mutazione nel concetto di questo diritto: se in passato l’educazione ha rappresentato una causa sociale, adesso viene concepita come un imperativo economico, al servizio dell’economia e della sua capacità competitiva. La formazione e la conoscenza diventano un bene privato, un vantaggio competitivo per inserirsi nel futuro mercato del lavoro. Le nozioni di uguaglianza, emancipazione e democrazia sono state sostituite da un discorso d’eccellenza, competenze, autonomia economica e riduzione delle spese. Confluiscono in questo due correnti, apparentemente contraddittorie: neoliberismo e neoconservatori.
I settori neoliberali considerano che l’educazione, come tutti i servizi pubblici, deve diventare fonte di affari e di guadagno per il capitale. Non solo perché si tratta dell’ultimo spazio di conquista che al capitalismo resta da colonizzare, dato che già si è esteso in tutto il pianeta e non restano più territori dove espandersi per continuare a crescere e ottenere benefici, ma perché considera la gestione privata dell’educazione come migliore e più efficace. Scommettono quindi, di trasformare questo bene pubblico in un’opportunità di affari (muove due bilioni di euro annuali a livello mondiale secondo dati dell’UNESCO) e controllarlo come se si trattasse di un’azione efficiente e selettiva, che adegui le risorse umane in formazione ai bisogni del mercato del lavoro in evoluzione, precario e sempre più sregolato, dotandolo di quelle competenze flessibili e polivalenti per adeguarsi ad esso.
I settori neo-con, da parte loro, considerano le scuole pubbliche gratuite come un sistema marginale e sussidiario di scarsa qualità, a modo di beneficienza per i settori senza risorse, che servirebbe in ogni caso come strumento di indottrinamento ideologico e conformismo sociale delle classi popolari. Reclamano per questi curricula centralizzati e conformi ai valori che si considerano tradizionali e, in certo modo, “sacri”, rafforzando gli aspetti autoritari, competitivi, accademici e religioso-confessionali. Ma ma puntano ad un’educazione differenziata e selettiva per i loro vassalli. Di fatto reclamano di trasformare un diritto riconosciuto, allo stesso livello che il diritto all’educazione, la capacità di scelta o di preferenza per un centro determinato. Ma tutte le ricerche dimostrano che dietro le argomentazioni a favore della libertà di scelta di centro, quello che si nasconde è il rifiuto alla mescolanza sociale, ad educare la progenie con quelli che non appartengono alla loro classe di quei settori sociali che considerano non adatti per stabilire relazioni con i loro figli.
Il punto in cui entrambi i settori confluiscono, sia liberali che neo-con, è che garantire l’educazione pubblica a tutta la popolazione è un carico oneroso per loro, dato che si sostenta delle tasse di tutta la popolazione ed in una fiscalità progressiva alla quale anche loro contribuiscono. Dicono che loro devono così “pagare doppiamente”, dato che pagano le rate del collegio privato dove inviano i loro figli e inoltre devono contribuire con le tasse per tutti gli altri, per suffragi are i servizi pubblici a tutta la popolazione. Esigendo che vengano ridotte le tasse attraverso una riduzione fiscale o l’equivalente in “assegni scolastici” che compensino la spesa che affrontano per le scuole private dei figli.
“Mentre i poveri non hanno nessuna alternativa ai centri pubblici, i più fortunati pagano per conto proprio.
Queste sono le scuole pubbliche miglio dotate delle zone residenziali più ricche o i collegi privati. In quest’ultimo caso, i fortunati devono pagare due volte e una delle loro reazioni più comprensibili è il suggerimento ricorrente che vengano fatti dei rimborsi per pagare i centri d’insegnamento privato di loro scelta. Eviterebbero così il doppio carico del costo dell’insegnamento. Ma esiste il tacito accordo di non dirlo così sfacciatamente; la libertà di scelta è la giustificazione più spesso sentita”. (Kenneth Galbraith, 1992, 55)
Da qui le proposte attuali di riforme annunciate dal ministro d’educazione Wert, o dal Ministro dell’economia, De Guindos, che confluiscono di modo mimetico con quest’alleanza della quale formano parte.
Le riforme proposte cercano, da una parte, di ridurre il periodo di insegnamento obbligatorio. Cioè, puntano all’esclusione di una certa parte di quelli che prima erano inclusi, nell’ultimo mezzo secolo, nel processo di scolarizzazione crescente della popolazione.
Attraverso strategie che vengono rafforzate: il potenziamento di esami o verifiche dei vari livelli, cicli o il passaggio di un corso all’altro e il rafforzamento delle esigenze per promuovere da una classe all’altra, rafforzando così il carattere selettivo, anche nei livelli obbligatori, il consolidamento di iter o corsi paralleli ad età sempre più precoci, la segregazione in forma di gruppi di classi secondo le capacità, la consacrazione ufficiale delle diversi reti dei docenti in funzione della classe sociale o di determinate caratteristiche personali come il sesso o l’orientamento religioso, la competitività tra i vari centri docenti di uno stesso livello, o ciclo obbligatorio- centri d’eccellenza, bilingue, ecc. Strategie che si vedono accompagnate simultaneamente dalla riformulazione del principio di gratuità, attraverso l’estensione delle sovvenzioni all’insegnamento privato, l’implementazione degli assegni o buoni scolastici, le detrazioni fiscali del costo della matricola nei centri privati e l’aumento delle tasse d’iscrizione nei centri pubblici dei livelli educativi non obbligatori con lo scopo di rendere difficile l’acceso ad essi, introducendo sistemi di rifinanziamento adducendo che è necessario assumere la “responsabilità” del costo reale dell’educazione.
D’altra parte, queste riforme educative cercano anche di aumentare le differenze delle due reti educative. Non si tratta la possibilità che il settore pubblico sparisca ma che si concentri sulla classe meno abbiente, immigranti e minoranze , con alunni che presentano necessità educative particolari o con difficoltà di apprendimento, cioè, quelli esclusi dal settore privato o che non abbiano raccomandazioni in esso, e anche nel fornire servizi in quelle zone, come quelle rurali, che non sono fonti di profitto per l’iniziativa privata. Resterà così l’Educazione pubblica come una rete sussidiaria della privata con un finanziamento di cui lo Stato smette di preoccuparsi,con progressivi tagli alla spesa pubblica e aumenti della quantità di alunni per classi, facendo a sua volta sparire le classi di sostegno e dell’attenzione alla diversità, insieme a materie opzionali, moduli di formazione professionale, servizi per l’orientamento o biblioteca, aiuti per l’acquisto dei libri di testo, mense e attività extra-scolastiche. Tagli accompagnati, di fronte alle proteste degli insegnanti, da una campagna di discredito di essi e dei sindacati che le promuovono e appoggiano.
Mentre si fomenta il processo di privatizzazione educativa, attraverso la creazione di centri d’insegnamento privato e si incentiva la sua richiesta. Le riforme puntano a “fornitori non governativi”- come raccomanda l’OCSE dal 1987, facilitando la costruzione e la creazione di centri privati favoriti dalla concessione del suolo pubblico o l’aggiudicazione diretta a aziende. Vengono percorse anche altre vie che mirano all’espansione delle opzioni private: la creazione di zone uniche di scolarizzazione (eliminando il criterio di vicinanza e di distribuzione equilibrata degli alunni al momento dell’iscrizione) , aumentando i criteri dei centri scelti per selezionare gli alunni, stabilendo dei meccanismi per finanziare pubblicamente più spazi dell’insegnamento privato come l’educazione non obbligatoria o gli sgravi fiscali per chi per i propri figli scuole private.
Parallelamente si applicano e si estendono misure di privatizzazione della rete pubblica con l’introduzione di tecniche di gestione dell’azienda privata nella direzione e nell’organizzazione dei centri educativi, che si considerano più efficaci e misurabili con indicatori di risultati che permettono di stabilire sistemi di “rendimento dei conti”, “ranking comparativi”, così come la gestione “flessibile” dalla presidenza-gerenza delle risorse umane (favorita dalla recente riforma lavorativa) o regole stabilite di formule contrattuali (contratti- programmi) di “gestione per obiettivi” e “pagamenti per risultati” per il finanziamento e sostenimento dei centri (dare di più alle scuole che ottiengono migliori risultati accademici). Misure di commercializzazione che avanzano nell’uso delle scuole da aziende private che portano avanti attività lucrative complementari in orario scolastico o al di fuori di esso; stimolare il finanziamento esterno (pubblicità, affitto di locali, patrocinio privato,distributori di diversi prodotti all’interno delle scuole, ecc) che trasformano il centro docente in uno spazio più commerciale che educativo; l’esternalizzazione o sub concentramento di attività extra scolastiche, mense, incluso la formazione professionale, la valutazione delle scuole o la costruzione e mantenimento degli edifici scolastici o l’introduzione del curricula accademico e dell’orario del personale privato e estraneo ai requisiti d’accesso alla funzione docente (Jones e altri, 2009)
Gli argomenti per questa “guerra ideologica” sono gli stessi che vengono applicati a tutti i servizi pubblici: difendiamo la libertà di scelta del consumatore, il settore pubblico è inefficace e dobbiamo stabilire meccanismi di controllo dei risultati e rendimento dei conti; il settore privato sorge dall’iniziativa sociale e appoggiarla è soddisfare la richiesta sociale; la riduzione delle spese sociali sono aggiustamenti necessari per garantire i servizi e i diritti sociali, per mantenere un servizio pubblico sostenibile, ecc…
È in gioco il futuro dei nostri figli. Educazione o barbarie, non ci può essere neutralità.
Studi su Enrique Javier Díez Gutiérrez
Advertising