La crisi economica si fa sempre più pesante e minacciosa, ma soprattutto “oscura”, non solo nelle sue cause remote ma nella realtà di oggi e nelle prospettive di un prossimo futuro. Dalla sua globalità, in estensione e profondità, nessuno può chiamarsi fuori. Vanno ricercate analisi e risposte globali, non esistono né esisteranno più “isole felici”.
L’analisi fatta dai nostri “accademici” è spesso confusa e contraddittoria. Forse dal mondo che fino a ieri si definiva “Terzo Mondo” può venire un esame più coraggioso, duro ma veritiero.
L’America Latina è un laboratorio in frenetica e piena attività nella ricerca e nella costruzione di nuovi cammini a livello economico, sociale, politico e sta trovando vie nuove per società differenti in una visione globale, consapevoli che, ormai, nessun popolo, nessun continente può fare da sé dinanzi all’immane ingiustizia creata sull’ideologia del mercato, del profitto, della competitività, del denaro facile, dello sfruttamento selvaggio dell’habitat naturale, in un assurdo “scontro di civiltà” e sotto il potere assoluto del profitto.
Verso la fine di luglio del 2011 per la prima volta era chiaro agli occhi di tutti la minaccia di una bancarotta non solo nei paesi periferici o in qualche paese europeo, ma anche negli stessi Stati Uniti. Un panico universale si diffonde ovunque, il prezzo dell’oro va alle stelle e si preannuncia con sempre più chiarezza l’arrivo di una nuova grande depressione. Non siamo, quindi, di fronte ad una nuova recessione o “doublé dip”, come ancora ci vogliono far credere i mass media delle grandi corporation, ma dinanzi alla Grande Depressione del XXI secolo.
Secondo i dati del Bureau of Economic Analysis (BEA) degli USA (aggiornati al 2011 e che tendono ad essere calcolati al ribasso) il PIL nordamericano registrò nell’ultimo trimestre del 2008 una contrazione dell’8,9% e nel 2009 una crescita negativa del 3,5%. Dati del PIL pro capite, e comparati all’inflazione, dimostrano che gli USA sono in recessione fin dalla seconda metà del 2005 (The Economist, 6 agosto 2011). Le cause di questa depressione, quindi, debbono essere ricercate indietro nel tempo.
Dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, il tasso di profitto è diminuito nella sfera produttiva. È caduto, in altre parole, in quei settori dove si genera ricchezza reale: valore e plusvalore. La ragione è che, dalla seconda guerra, la vita media del capitale fisso ha gradualmente ridotto il costo del rinnovamento tecnologico in misura tale che non può essere compensato con un’ulteriore riduzione del costo del lavoro permessa dall’uso di quella tecnologia.
Per trovare una tecnologia innovativa valida per la concorrenza, si riduce la sua vita media e, di conseguenza, il tasso di profitto. Da allora il keynesianesimo entra in crisi e si afferma il neoliberismo. È il momento di cercare manodopera più conveniente al di fuori dei paesi centrali e/o importare manodopera a buon mercato dai paesi periferici. Quando il lavoro flessibile si diffonde in tutto il mondo, quando questo esercito di riserva diviene disponibile ovunque, aumenta il grado di sfruttamento nel settore dell’economia reale.
Nei paesi centrali non si registra uno spostamento di capitali verso la sfera produttiva, al contrario, il capitale cerca ad ogni costo di abbandonarla. Sempre più il capitale si rifugia nel mondo fantastico di una auto-espansione del denaro. In altre parole, visto nell’ottica del contenuto, il capitale cerca di realizzare sia il suo profitto che accumulo dello stesso capitale nella speculazione e nel settore improduttivo.
I profitti così ottenuti tendono ad essere più elevati ma non contribuiscono ad aumentare la ricchezza reale; sono titoli che partecipano alla ricchezza reale generata ma non la creano. È capitale fittizio con utili fittizi. Si sviluppano come forme di appropriazione e di concentrazione della ricchezza reale generata a livello mondiale. Tali proventi stimolano fortemente la lotta per la ripartizione della massa di eccedenza senza partecipare a un suo reale aumento.
Affinché tutto ciò funzioni in modo soddisfacente, sorge, a partire dagli anni ‘70, la necessità di una politica di deregolamentazione del sistema finanziario. Le misure adottate promossero lo sviluppo esponenziale delle banche d’investimento e di nuovi strumenti finanziari (derivati). Questo ha generato grandi reti finanziarie senza controlli né ostacoli giuridici o fiscali. Il capitale finanziario ricorre negli ultimi decenni all’espansione esponenziale del credito per finanziare il proprio “gioco d’azzardo” per il futuro. Tutto ciò si traduce in un’espansione esponenziale dei titoli nei mercati finanziari, sostenuta su una piramide di credito rovesciata, senza crescita della ricchezza reale alla base. (https://www.gamerlandia.net/?p=20917)
In altre parole, con il neoliberalismo, entriamo in una “economia di casinò” sempre più globale. Finché la prospettiva di appropriazione e di concentrazione della ricchezza reale esistente viene così realizzata e mantenuta, il credito servirà a finanziare il sistema speculativo. Questa spirale verso l’alto non solo genera profitti (fittizi), ma è una leva per l’appropriazione sempre più globale della ricchezza mondiale reale da parte di un piccolissimo club elitario che controlla l’intero processo.
La dimensione attuale della piramide rovesciata di titoli, costruita su una base sempre più stretta di ricchezza reale, evidenzia la vastità del capitale fittizio e dei suoi profitti fittizi. Il Bank for International Settlements (BIS) nel suo Quartely Review di giugno 2011, riportava di aver ricevuto dati bancari fino a dicembre 2010, per un totale di 601 mila miliardi di dollari emessi in derivati: tale importo è oltre dieci volte il Prodotto Mondiale Lordo.
Secondo altri economisti questa cifra sottovaluta il totale effettivamente emesso, Trace Mayor stima l’ammontare dei derivati in 30 volte il PIL mondiale. La strategia dello sviluppo di questa gigantesca piramide rovesciata, che sembra una follia, è costruire leve per accaparrarsi una quota crescente della ricchezza globale. Si tratta di una politica di subordinazione alle reti finanziarie globali non solo dei paesi periferici, vedi quelli latinoamericani, ma, nel progetto finale, comprende potenze come l’Unione Europea e gli Stati Uniti.
La creazione della zona euro e dell’Unione Europea fu un tentativo politico di questo continente per non essere assorbito dai tentacoli di queste piovre finanziarie. L’attuale minaccia di bancarotta di Stati nell’Unione Europea e persino negli USA rende evidente che neppure gli imperi economici potranno sfuggire alla rete finanziaria globale. La sua unità centrale si trova nei Global Investment Funds finanziari (GIFF) e là dove la gestione strategica è nelle mani delle grandi banche, della grande industria, delle grandi proprietà agricole, ecc.
È una rete diversificata che opera con il massimo dell’anonimato e “clandestinità” dove si controlla e ci si contende il dominio delle principali multinazionali, trasformandole in reti finanziari globali. Queste reti operano come “Stati Privati senza frontiere né cittadini” che non rendono conto di niente a nessuno.
Lo spazio nazionale nordamericano non è più punto di partenza del grande capitale finanziario globale nella lotta per un nuovo ordine mondiale. Questo capitale non conserva nessun impegno neanche con i cittadini di paesi con una lunga storia democratica. I GIFF sono i protagonisti attuali e hanno la pretesa di essere un soggetto sociale per creare uno Stato globale senza alcun tipo di obbligo con alcuna nazione né con i suoi cittadini.
La rete finanziaria globale sviluppa una guerra di classe dall’alto a livello globale, tuttavia, il suo dilemma è ritornare alla sfera produttiva con tassi di profitto allettanti. Quanto più si sviluppa la piramide rovesciata del credito, tanto più emerge la difficoltà di riconnettere il capitale con il settore reale dell’economia.
L’arma del credito perpetuo potrebbe così finir di puntare contro lo stesso capitale, che si distrugge con la sua stessa arma, come segnalarono Bonefeld e Holloway nel 1995. Il prolungamento della depressione attuale e il suo possibile esito possono esser visti non solo come una minaccia, ma costituiscono anche un messaggio di speranza. Le recessioni stanno diventando sempre più lunghe e profonde, interessano sempre più paesi e popoli in sempre più luoghi diversi. Nel 2011, la guerra di classe dall’alto e senza frontiere ha generato come risposta una lotta di classe senza frontiere dal basso.
La lotta per la riconfigurazione dell’ordine mondiale nell'attuale crisi
Questa crisi, paradossalmente, apre spazi per l’affermazione di un soggetto popolare senza frontiere. Una ribellione sempre più globalizzata può generare un soggetto collettivo e generare un cambiamento che dà vita a una nuova civiltà. La crisi apre anche strade per scontri sempre più aperti tra grandi blocchi capitalistici per impedire di rimanere subordinati. Gli stessi scontri danno luogo a restaurazioni neoconservatrici per preservare il potere costruito nel corso degli anni. I movimenti xenofobi e l’ascesa del neofascismo di oggi si basano sull’esclusione crescente, come negli anni‘20 del secolo scorso.
Dall’esclusione e dall’aumento dell’esercito industriale di riserva deriva la perdita di diritti economici e sociali, cioè una perdita di cittadinanza. La crescente esclusione nei paesi periferici genera ribellioni che sfidano l’attuale sistema escludente. Nei paesi centrali, invece, si rivendica la legittimità dell’inclusione senza mettere in discussione il sistema.
Di conseguenza, si diffonde la richiesta del diritto di legittimazione della mia inclusione a costo dell’esclusione di altri. Sostituendo un modello di esclusione, attraverso il meccanismo del mercato oppure tramite l’appartenenza o no a una determinata condizione culturale, razziale, di origine nazionale, ecc., si disumanizzano sempre più le relazioni sociali. Storicamente, la borghesia, o parte di essa, ha capitalizzato attraverso il populismo le richieste corporative in un Stato corporativo. I progetti fascisti popolari, alla fine, si sono subordinati al progetto borghese. Tutto ciò, aumentava il rischio di una guerra mondiale.
Oggi, i settori che perseguono l’imposizione di un potere globale seguono un’altra logica.
L’analisi di Formento e Merino sottolinea in modo particolare come «per le reti globali diviene indispensabile il superamento degli USA come unica superpotenza mondiale e muoversi verso un nuovo modello imperialista senza un paese centrale come potenza egemone escludente (…)».
In questo senso, gli Stati Uniti rappresentano ora un ostacolo per il loro ruolo di paese centrale egemonico unipolare unilaterale o trilaterale per lo sviluppo degli interessi angloamericani globalisti. Il blocco di potere anglo-americano-globale può contare sul settore dei capitali finanziari transnazionali con reti di maggior sviluppo globale come, tra gli altri, City Group, Lloyd´s Bank, HSBC, la rete Rothschild, Shell, Barclays. In termini politici questo gruppo è meglio rappresentato dai democratici a partire dall’amministrazione Clinton e oggi dall’amministrazione Obama, con Madame Clinton in prima linea.
Per le reti globali, continuano Formento e Merino, «devono esistere solo colonie non paesi colonizzatori; anche questi diventano territori da colonizzare». Si tratta di un imperialismo esteso in una rete gerarchizzata di città finanziarie globali: New York e la City di Londra come asse centrale, con i relativi nodi locali a Parigi, Tokyo, Shanghai, Francoforte, Mosca, Singapore, Hong Kong, Dubai, Abu Dhabi, Bombay, Sydney, Johannesburg, San Paolo, Buenos Aires, Messico, ecc. Queste city sono i nodi principali che dovrebbero dar forma allo Stato Globale e dove verrebbe decisa la divisione globale del lavoro assegnando le funzioni da compiere in ogni area regionale.
A tale politica si oppone il blocco di potere all’interno degli USA. Queste forze conservatrici cercano di mantenere ad ogni costo il dominio del potere nordamericano come potenza egemone. Per questo è necessario salvare il dollaro come valuta mondiale; conservare la loro potenza militare; rafforzarsi dinanzi ad altri blocchi. Il loro progetto politico difende ancora la necessità dei controlli geografici.
Nella loro logica è necessario annettere l’America Latina attraverso Accordi bilaterali di Libero Scambio (TLC) e consolidare un piano di difesa continentale.
I progetti latinoamericani come ALBA, UNASUR o Consejo de Defensa del Sur vanno contro questa politica. Lo spiegamento della IV Flotta degli Stati Uniti coincise con il processo di formazione del Consejo de Defensa del Sur. Nello stesso tempo in cui si verifica il colpo di stato in Honduras, al fine di spezzare le possibilità di sviluppo di un blocco di potere sudamericano autonomo, vengono installate sette basi militari in Colombia per consolidare la piattaforma del Pentagono.
Il blocco di potere americano mira alla strategia di un unipolarismo unilaterale (Pentagono) o di blocchi regionali con il primato degli USA (Brzezinski), ma ora è sempre più difficile consolidare tale progetto. Questo blocco di potere, insieme al Pentagono, conta, tra gli altri, sul settore finanziario di JP Morgan, Bank of America, Goldman Sachs, sulle grandi case farmaceutiche, su Exon Mobil di Rockefeller. In termini politici, questo gruppo fu meglio rappresentato dai repubblicani, sotto l’amministrazione Bush. La debolezza e la perdita di terreno in termini economici di questo settore di potere furono compensate con la politica militare. Dopo aver perso le elezioni di medio periodo nel 2010, la linea anglo-americana globalista trova gravi difficoltà a imporsi. Si apre, così, ancor più la strada per una terza forza costituita dai settori popolari che avanzano verso un progetto non-imperialista.
Non si può escludere a priori che il capitale egemonico sarà in grado di dar vita a uno Stato globale, ma neppure il suo fallimento. Negli ultimi decenni si assiste a un’impressionante appropriazione della ricchezza sociale da parte di alcune piovre finanziarie. Riuscirono ad annettere molti paesi periferici, come l’America Latina, e oggi puntano le loro armi contro l’Unione Europea e gli stessi Stati Uniti. Attraverso la moltiplicazione del capitale fittizio in maniera piramidale, come titoli o diritti su una parte sempre maggiore di ricchezza reale prodotta ogni anno nel mondo, si ottiene un controllo effettivo sul suo processo di riproduzione.
Questo potere transnazionalizzato nella forma di Stato globale cerca di introdurre una propria moneta mondiale e di porre fine, con ogni mezzo, alla sfera d’influenza dell’euro e all’egemonia del dollaro.
La crisi attuale, quindi, non è solo caos economico o panico che ne deriva, ma è lo scenario di un’“asta” di interessi per la gestione dei processi economici e politici a scala mondiale. Questa “asta” avrà i suoi vincitori e i suoi vinti sia all’interno che tra le stesse potenze economiche.
Anche negli Stati Uniti, c’è l’“asta” di interessi economici che trasformano la crisi finanziaria globale in una lotta politica strategica che acquisisce forma di guerra finanziaria-politica-mediatica. In questa situazione, il blocco di potere finanziario anglo-americano si spacca e lo scontro diventa sempre più profondo e globale.
Formento e Merino segnalano, da un lato, il blocco finanziario conservatore americano yankee in evidente retrocessione e, dall’altro, il blocco del potere finanziario globalista. Quest’ultimo cerca di creare uno Stato globale senza frontiere geografiche né cittadini e non legato a nessuna area geografica, neppure negli USA; il territorio è, piuttosto, di carattere sociale. Questa nuova “territorialità sociale” implica e richiede una nuova forma di Stato: uno Stato-Rete Finanziaria con sovranità globale su un territorio sociale.
Le caratteristiche fondamentali dello Stato-Rete Globale possono essere così riassunte:
(a) costituzione di un governo globale articolato attraverso il G-20 come ambito del multilateralismo unipolare. A ciò si contrappone il multilateralismo multipolare voluto da altri
blocchi di potere, che stanno lottando per non rimanere subordinati; possiamo citare qui il BRIC, con una certa egemonia cinese, l’Unione Europea e l’UNASUR;
(b) sviluppo di una rete imperialista globale formata da una rete di city finanziarie come ambito di territorialità sociale; le forme statali sarebbero costituite dalle strutture di direzione
strategica della rete delle city. Il suo cervello sono le reti finanziarie globali con i fondi finanziari d’invesimento globale (FFIGs). A ciò si oppongono i blocchi di potere regionale
precedentemente citati;
(c) moneta globale elettronica attraverso diritti speciali di giro (DEG´s) del FMI o altre forme mantenendo sempre le reti finanziarie globali come centro (questa politica comporta la
sparizione del dollaro come moneta egemonica e la scomparsa della Federal Reserve come banca centrale globale; a ciò si oppone il blocco finanziario nordamericano che cerca di
mantenere e difendere l’egemonia del proprio paese);
(d) massima liberalizzazione del commercio mondiale attraverso l’OMC;
(e) sviluppo delle Forze Armate Globali attraverso la NATO e i caschi blu delle Nazioni Unite;
(f) democrazia globale virtuale-fittizia con maggioranze disorganizzate e smobilitazione sociale, in altre parole, cittadinanza globale suddita della sovranità mediatica finanziaria
Gli attacchi speculativi contro la crisi del credito del 2007-2008 avevano l’obiettivo di salvare le banche nei paesi centrali a causa dei debiti contratti. Fu allora che gli Stati si indebitarono per intervenire con un piano di salvataggio multimiliardario. La seconda ondata di attacchi speculativi si dirige verso i debiti pubblici contratti dai governi dei paesi centrali.
L’importanza delle agenzie di rating in questa ondata speculativa è molto grande. Parecchie entità, come ad esempio i fondi pensione, con investimenti miliardari, sono legate alla qualificazione del debito e per regolamento seguono automaticamente queste qualifiche. Quando si abbassa il rating del debito di un paese, la vendita di bond (obbligazioni) è massiccia e di conseguenza ne diminuisce il prezzo mentre aumenta il tasso d’interesse per i nuovi crediti che vengono concessi attraverso severe politiche di riassetto strutturale, ben note in America Latina dagli anni ‘80 del secolo scorso.
Per dar vita allo Stato-Rete Globale è necessario subordinare sia l’Unione Europea e la zona euro come gli USA e il dollaro. Le minacce di bancarotta sono la sua arma. La depressione implica un crescente deficit rafforzando le probabilità di fallimento o bancarotta, come avvenne in Argentina nel 2002. In ultima istanza, il potere finanziario globale deve imporsi come potenza egemonica sulle aree attraverso il controllo di eserciti non collegati a uno Stato determinato, come nel caso della NATO.
Le forze anglo-americane contro l’euro
Fitch Ratings è legato alla Banca di Francia e alla Renault e opera più in linea con la politica di Bruxelles. Il declassamento del rating del debito greco aveva l’obiettivo di fare un passo verso una maggiore centralizzazione del governo europeo. La S & P, con sede nella City di Londra, è parte della rete finanziaria più globale che opera, tra gli altri, con Barclays.
Fu la prima ad abbassare il rating del debito spagnolo, provocando l’effetto contagio su tutta la periferia europea. Su questa base si cominciarono a montare gli attacchi speculativi, centrati su contratti di assicurazione, o Credit Default Swap (CDS), dinanzi all’eventuale bancarotta di quei paesi. Riescono così a provocare la cosiddetta crisi europea e, con essa, la seconda ondata della crisi mondiale del 2011.
I CDS sono derivati di crediti che si comportano come se fossero polizze assicurative contro il rischio che un credito (debito pubblico in questo caso) non pagato a causa del declassamento nella qualificazione di rischio e/o dinanzi ad un eventuale aumento del tasso di interesse per una riclassificazione.
Credit Default Swaps e Interest Rate Swap sono il mercato per eccellenza della City di Londra e di Wallstreet. Attraverso di essi si può produrre un golpe finanziario in uno o più paesi contemporaneamente, come i cosiddetti PIGS. L’obiettivo degli angloamericani globalisti non è necessariamente provocare la bancarotta formale dei paesi nella periferia europea e costringerli a uscire dall’euro. Ciò indebolirebbe l’eurozona e costituirebbe grandi perdite per i banchieri tedeschi e francesi.
Tutto ciò potrebbe anche provocare la detonazione di tutto il mercato di derivati senza essere riusciti prima a sottomettere il dollaro; il che rappresenterebbe una vittoria del potere conservatore nordamericano.
Il salvataggio con la concessione di denaro per coprire il deficit e con l’imposizione di riassetti strutturali e privatizzazioni serve, a breve termine, al blocco europeo, ma a medio termine potrebbe beneficiare i globalisti. Attraverso il piano di riscatto dei PIGS, v’è un aumento nel trasferimento del rischio dai paesi periferici verso i paesi centrali della zona euro.
I cittadini di Germania, Finlandia, Olanda, Austria e Francia, tra gli altri, devono pagare tributi in apparenza per stabilizzare i paesi periferici; in realtà l’obiettivo è, prima di tutto, salvare le banche francesi e tedesche, per questo il progetto franco-tedesco lavora per un’integrazione fiscale dell’Unione Europea, il che comporterebbe il trasferimento d’imposte da Nord a Sud. Questo trasferimento, già in atto, ha aumentato la resistenza popolare nei paesi del Nord, da qui il rischio che i paesi di questa zona abbandonino l’euro.
L’obiettivo finale del progetto franco-tedesco è evitare di rimanere completamente subordinati al capitale finanziario globale. Nei suoi confronti il progetto franco-tedesco attua una politica di riassetto-risparmio-investimento-produzione-esportazione-profitto. Per questo progetto, gli europei trovano alleati tattici nella Cina e nella Russia. Insieme formano il Blocco Continentale Euroasiatico, tanto temuto fin dalla prima guerra mondiale.
In tal modo essi acutizzano il conflitto non solo con le forze anglo-americane globaliste, ma anche con i conservatori imperialisti degli USA. Da qui il trasferimento della guerra dai paesi produttori di petrolio a paesi che potrebbero ostacolare l’integrazione di tale blocco. La più grande paura anglo-americana è che l’eurozona diventi una grande Germania, per di più integrata con Cina e Russia nel grande Blocco Continentale Euroasiatico. I tamburi di guerra con la Cina suonano sempre più forti.
L’obiettivo del blocco continentale eurasiatico mira a impedire l’istituzionalizzazione dello Stato globale. La sua politica è:
(a) approfondire il divario tra paesi con surplus commerciali e fiscali, come Germania e Cina, rispetto a paesi con un deficit commerciale e fiscale, come gli USA;
(b) approfondire le misure protezionistiche e la guerra economica tra blocchi. A causa della relativa debolezza del loro settore finanziario, i cinesi e i tedeschi aumentano il divario per evitare di rimanere subordinati, mentre le forze anglo-americane beneficiano del negozio del debito e cercano così di ridurre il divario. L’asse franco-tedesco continua a consolidare il proprio blocco con una moneta forte e l’integrazione fiscale per non rimanere subordinato alle forze finanziarie anglo-americane.
Le forze angloamericane globaliste di fronte al dollaro
Immediatamente si diffuse il panico in tutto il mondo. Sembra che i banchieri globali stiano deliberatamente distruggendo il sistema finanziario attuale creando l’effetto shock necessario per instituirne un altro. In mezzo a questo panico, il loro obiettivo è riuscire a sostituire il dollaro e la Federal Reserve con un’autorità monetaria mondiale gestita direttamente da banchieri globali liberati da ogni controllo governativo, compreso quello americano (A Greek tragedy, part III www.johntrumanwolfe.com).
Moody´s, la terza agenzia di rating, è strettamente legata alla Goldman Sachs e opera con il blocco conservatore del potere nordamericano più attivo nella prima ondata della crisi. Nella seconda ondata, l’agenzia di rating indirizzava le sue pressioni verso il blocco angloamericano globale, minacciando la riduzione delle valutazioni degli Stati Uniti e del debito britannico; ha addirittura cercato di far incorporare entrambi i paesi nei PIGS.
Nello scenario di avanzamento delle forze globaliste, i poli di potere accerchiati debbono garantire i loro blocchi. In questo senso, per i settori nordamericani non globalisti, è indispensabile che il dollaro continui ad essere la moneta internazionale e di riserva; devono, inoltre, garantire il proprio dominio con il complesso industriale e militare, mantenere, con il Pentagono, il controllo sul Medio Oriente e le sue riserve di petrolio, assicurarsi fino in fondo il loro intervento in America Latina.
Questa frazione finanziaria del polo di potere angloamericano è ancorata al neoconservatorismo ed è il settore che sposta più facilmente il conflitto sul terreno dello scontro politico e militare. Questi settori hanno bisogno di perpetuare il vecchio potere nordamericano e attuano una strategia neoconservatrice, fondamentalista, militarista e, quindi, neo-fascist.
Man mano che si approfondisce la lotta, la frattura diventa sempre più visibile favorendo lo sviluppo dei movimenti sociali di carattere fascista, come il Tea Party.
Dai primi di novembre 2010, lo scontro all’interno degli Stati Uniti entra in una nuova fase. Nelle elezioni di metà mandato dell’amministrazione Obama vince il Tea Party. Le caratteristiche neofasciste già evidenti con Bush, si accentuano.
Con la parità egemonica, il Tea Party si mobilita contro il nemico della nazione: Obama e l’oligarchia finanziaria globale che ha sede nella City di Londra e a Wall Street di New York. Sono questi centri di potere che vogliono distruggere il “sogno americano”. La fazione neoconservatrice impone nella sua agenda la riduzione degli investimenti pubblici (ad eccezione di quelli militari), frenare qualsiasi aumento delle tasse, unilateralismo e militarismo in politica estera, oscurantismo nell’ordine ideologico e culturale.
L’attuale situazione strategica di parità egemonica rende evidente che il risultato della battaglia è molto aperto. Settori storicamente subalterni negli Stati Uniti si rafforzano con questa parità, per cui si apre spazio anche per i movimenti sociali di contestazione e protesta sociale.
Il futuro politico di Obama è un’incognita. La nuova fase della crisi con guerra di valute, guerra commerciale e aumento del protezionismo indica che la situazione strategica internazionale si sta spostando verso un approfondimento del conflitto inter-imperialista. Una nuova grande guerra politica e militare in scenari centrali, tuttavia, non sembra vicina, ma sempre più non deve essere scartata o sottovalutata.
Come salvare i popoli? La lotta per un'altra civiltà
Anche se questo risveglio si concretizza in diversi paesi e regioni in circostanze differenti, acquisisce un carattere sempre più globale. Ciò che sta accadendo oggi non è semplicemente una ribellione in un paese o in una regione, come il Nord Africa o l’Europa del Sud, ma può esplodere in ogni angolo del mondo. E tutto ciò può mettere in gioco il potere imperiale e la stessa civiltà occidentale.
Il neoliberismo è messo in discussione in America Latina dove si verifica da una decina d’anni un processo di distacco. Nel 2008-2009, ci furono rivolte popolari a causa della carestia nell’Africa sub-sahariana e, nel 2011, ancora una volta, in Somalia, Etiopia, Eritrea e Kenya. Ciò è dovuto, soprattutto, all’aumento dei prezzi dei cereali di base. In Nord Africa, ad eccezione dell’Algeria, scoppiano ribellioni per l’instabilità del lavoro e per l’insicurezza sociale. Da decenni la stabilità politica è stata raggiunta soltanto con i dittatori.
Nel chiudersi l’emigrazione internazionale si chiudono le opportunità di realizzare un progetto individuale o familiare fuori dal paese. Da allora la soluzione è possibile solo all’interno del proprio paese e non può più essere individuale. Questo politicizza la popolazione, soprattutto i giovani che per primi e in maggior numero ricorrevano all’emigrazione.
La depressione economica e la disoccupazione di massa, soprattutto giovanile, in Europa hanno dato adito a rivolte popolari che non si vedevano da molti decenni; di fatto, le ribellioni possono esplodere ovunque.
La logica economica attuale tende a negare la vita di una crescente maggioranza della popolazione mondiale sia del centro che della periferia; si tende ad abbreviare la vita produttiva dei lavoratori causando un’insicurezza generalizzata del lavoro. La stessa logica distrugge la vita utile dei prodotti, sempre più usa e getta, e anche degli stessi macchinari e delle équipes imprenditoriali; v’è una competizione feroce per ottenere una tecnologia sempre più avanzata.
Di conseguenza, si finisce per distruggere la vita della natura con l’esaurimento, tra l’altro, di risorse non rinnovabili. Il capitale impedisce così la vita in aree sempre più vaste, indispensabili alla logica della sua stessa riproduzione e provoca la morte di tutto ciò che incorpora nel suo progetto. In tal modo si espone al rischio di soffocare tutto con la sua stessa logica. A nostro parere, negando la vita e seminando la morte in tanti ambiti, il capitale tende a negare, in definitiva, la sua stessa riproduzione. In altre parole, è un sistema che porta alla propria autodistruzione.
Partiamo dal presupposto che l’essere umano è sia prodotto della storia che suo creatore e ciò grazie soprattutto al lavoro. Le possibilità di un progetto politico di influenzare un cambiamento della logica economica non dipendono esclusivamente dalla volontà di un popolo, né sono determinate soltanto dalle cosiddette condizioni oggettive. La democrazia borghese non è solo prodotto o progetto storico esclusivamente di una classe. Lo stesso vale per i progetti alternativi, che si chiamino socialismo, cambiamento di civiltà o foss’anche un’altra fase del capitalismo sotto l’egemonia di uno Stato globale.
La chiave viene data dall’intersezione di questa volontà con i momenti storici che offrono maggiori opportunità perché si verifichi un cambiamento nella logica economica. Siamo convinti che la Grande Depressione del XXI secolo è caratterizzata come crisi di civiltà di un momento storico, al di là delle frontiere di un qualsiasi Stato, per un progetto politico volto a cambiare l’attuale logica economica.
In mezzo alla crisi mondiale emerge una politica di distacco dal neoliberismo. In America Latina, da un decennio, si sta affermando un progetto plurinazionale e pluriculturale. C’è la tendenza a liberarsi dalla politica di annessione voluta dal settore più conservatore del potere statunitense. La creazione dell’ALCA come strumento politico di annessione fu frenata non solo da forti movimenti sociali, ma anche dalla decisione del Brasile di costituire un proprio blocco economico: il Mercosur. Rappresentò una grave battuta d’arresto della politica di annessione degli Stati Uniti. Da qui inizia l’offensiva nordamericana di annessione paese per paese attraverso Trattati di Libero Scambio (TLC). Tuttavia, la politica di rottura in America Latina continua il suo cammino.
Venezuela e Cuba hanno lanciato una controffensiva con ALBA e Petrocaribe. Ecuador e Bolivia si uniscono più tardi alla politica di rottura contro l’ingerenza nordamericana; via via sempre più paesi aderiscono alla nuova unità politica. La Unión de Naciones Suramericanas (UNASUR) costituita nel maggio 2008 nel bel mezzo della crisi internazionale rappresenta la nascita di un nuovo blocco di potere regionale e un faro di liberazione.
Il Sud America possiede oggettivamente la massa critica per poter collocarsi come polo sovrano con sviluppo endogeno delle forze produttive1. È l’unico sbocco dal modello neoliberale che hanno i popoli, sebbene non ancora per iniziativa diretta dei popoli. La crescente integrazione latinoamericana contribuirà a creare un mondo multipolare e potrà agevolare anche l’esaurimento della logica economica esistente.
Come affrontare i banchieri
Le economie nazionali hanno il diritto di difendersi da tali aggressioni, come ha fatto l’Islanda con due referendum salvando il suo popolo e non i banchieri. I mass media corporativi hanno nascosto gelosamente al pubblico la lezione storica che ha dato l’Islanda.
La Grecia per salvare, in sostanza, i banchieri stranieri non salva il suo popolo, che ha perso ogni dignità nel dover pagare attraverso un severo programma di austerità e cadendo in una profonda recessione. Le stesse agenzie di rating hanno commesso frodi sulla qualificazione del debito greco. I debiti contratti nell’ambito di atti fraudolenti o di corruzione sono illegittimi, addirittura illegali.
Questi debiti inaccettabili possono e devono essere annullati.
Tutti i cittadini dovrebbero poter conoscere e denunciare la natura perversa del debito.
Più paesi sono coinvolti in questa lotta contro l’avidità dei banchieri, più è probabile che nasca un movimento internazionale per salvare i popoli e non le banche. Come misura preventiva per il futuro è necessario imporre una disciplina finanziaria, in primo luogo proibire che le banche d’investimento si fondino con le banche di deposito, le banche cioè a cui il pubblico affida i propri risparmi. È anche importante controllare e porre limiti al flusso di capitali in entrata e in uscita.
Non importano tanto le scelte di un governo, ma è necessaria la mobilitazione popolare per una vita dignitosa, che è la chiave per la soluzione. È evidente che per farlo è necessario obbligare i governi a cambiare radicalmente il corso delle cose. “Germany riskier than UK for the first time since January 2008, www.bloomberg.com
Come riuscire a cambiare il corso della storia?
La corsa a brevettare tutto il sapere ne è stata la logica conseguenza. Lo scopo è quello di mantenere il vantaggio storicamente acquisito. Tuttavia, le innovazioni tendono a presentarsi di solito dove si sta maggiormente sviluppando la produzione; di conseguenza il futuro si trova nei cosiddetti paesi emergenti. Da questo punto di vista, l’America Latina ha un ruolo importante da svolgere.
L’economia reale si sta trasferendo verso i paesi emergenti. In termini di potere d’acquisto, questi paesi (paesi non OCSE) nel 2011 raggiungeranno – secondo la rivista The Economist del 6 agosto 2011 – il 54% del PIL mondiale.
È sorprendente che il 52% delle automobili e l’82% dei telefoni cellulari siano venduti in queste nazioni. Nel 2010 le esportazioni dei paesi emergenti nel loro complesso hanno superato il 50% delle esportazioni mondiali, contro il 27% del 1990; hanno l’81% delle riserve internazionali e solo il 17% del debito pubblico globale. Quei paesi consumano il 60% dell’energia mondiale, il 65% di rame, il 75% di acciaio, il 55% di petrolio. La Cina è il paese emergente più forte con oltre il 49% del PIL in investimenti contro il solo 16% degli Stati Uniti.
Un fattore sempre più importante nella competitività è il basso costo della manodopera. La Cina è tra i campioni del mondo in questo senso. Il continente latinoamericano ha un potenziale enorme. Non solo ha una popolazione più numerosa degli USA, ma la sua forza lavoro è molto più conveniente rispetto a qualsiasi paese centrale. Nei paesi centrali la struttura della popolazione è relativamente vecchia. Essi non hanno una potenzialità di sostituzione generazionale e, di conseguenza, della forza-lavoro; senza i flussi immigratori non servirebbero al capitale.
I paesi emergenti, invece, hanno una popolazione in età attiva in aumento e la loro capacità di ricambio generazionale è meglio garantita. Il continente latinoamericano è uno dei principali produttori di prodotti alimentari del mondo e possiede una delle principali riserve mondiali di biodiversità e di acqua dolce.
La superficie dell’America Latina è superiore a quella della Russia. Il territorio del Sud America costituisce una delle più importanti riserve mondiali non solo di idrocarburi e agrocombustibili, ma anche di minerali. Il continente latinoamericano unito potrà decidere di destinare tali risorse, sempre più scarse e strategiche per la sua economia reale, soprattutto al proprio sviluppo endogeno e anche di lasciarle come riserve strategiche per le generazioni future.
In mezzo a una grande depressione mondiale, una politica verso una maggiore autosufficienza diventa non solo una possibilità, ma una necessità. Nei paesi emergenti, tutti questi elementi costituiscono, nell’attuale crisi mondiale, una base solida per un’economia reale in espansione.
Il capitalismo non può esistere senza una crescita economica sostenuta, sia nei paesi centrali che nella periferia. La crescente scarsità relativa e anche assoluta di risorse naturali mette in difficoltà la stessa logica economica del capitalismo. Una politica di conservazione e di minor sfruttamento delle risorse naturali, come rivendicano le comunità indigene e i Sem Terra brasiliani, per esempio, accentuerà questa carenza.
La politica dei popoli periferici per un progetto politico più endogeno implica che ci saranno meno risorse naturali per il mercato mondiale. Presto o tardi si finirà per soffocare la logica capitalista. Non ci sarebbe allora altra uscita che prolungare la vita dei prodotti.
Il valore d’uso comincia a sovrapporsi al valore di scambio. Il prolungamento della vita dei valori d’uso abbassa la domanda effettiva in termini di valore. L’era della crescita negativa a livello mondiale sembra così aprirsi e si annuncia una nuova civiltà. Soddisfare una stessa necessità richiederebbe meno tempo con l’allungamento della durata media dei prodotti. Nell’ottica sociale la produttività del lavoro aumenterebbe, il contrario di ciò che avviene dal punto di vista della forma con una crescita negativa.
In questa dimensione, la costituzione del nuovo soggetto sociale e la presa del potere a livello internazionale e globale, diversa dalla classica presa di potere a livello nazionale dei secoli passati, costituirebbe un radicale e epocale cambiamento: siamo all’inizio di una nuova civiltà, ma non ci piace affatto!
LA PIÙ GRANDE TRUFFA DELLA STORIA
Studi su Dott. Wim Dierckxsens, sociologo-economista, accademico del Costa Rica
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