SAGGISTICA CONSIGLIATA: Trilogia “Nuovo Disordine Sociale”
La lotta fra i vari tipi di verità nell’impero romano si concluse con la vittoria del cristianesimo. Il risultato più importante di questa vittoria fu la dedivinizzazione del potere temporale; ed abbiamo già accennato al fatto che i problemi moderni della rappresentanza sono in qualche modo connessi con un processo di ridivinizzazione dell’uomo e della società. Entrambi questi termini richiedono un’ulteriore precisazione, soprattutto perché il concetto di modernità e il periodizzamento della storia dipendono dal significato che si dà a questa ridivinizzazione. Precisiamo quindi che per dedivinizzazione bisogna intendere quel processo storico attraverso il quale la cultura del politeismo venne praticamente a morire per atrofia e l’esistenza dell’uomo nella società venne riordinata, in base alle esperienze della destinazione dell’uomo, per grazia del Dio che trascende il mondo, verso la vita eterna nella visione beatifica. Col termine ridivinizzazione, tuttavia, non bisogna intendere una reviviscenza della cultura politeistica in senso greco-romano. La qualifica di neopagani data al moderni movimenti politici di massa – qualifica peraltro abbastanza di moda – è falsa, perché riduce a una rassomiglianza superficiale la natura storicamente specifica dei movimenti moderni. La ridivinizzazione moderna ha invece la sua origine nello stesso cristianesimo e deriva da componenti che erano state soppresse come eretiche dalla Chiesa universale, La natura di questa tensione, intima al cristianesimo stesso, dev’essere perciò precisata con maggior rigore.
La tensione era già nell’origine storica del cristianesimo come movimento messianico giudaico. La vita delle prime comunità cristiane non risultò stabile sul piano dell’esperienza concreta, ma oscillò tra l’attesa escatologica della parousia che avrebbe realizzato il regno di Dio e l’interpretazione della Chiesa come apocalisse di Cristo nella storia. Poiché la parousia non si verificò, la Chiesa di fatto passò da una escatologia del regno nella storia a una escatologia della perfezione ultrastorica e soprannaturale.
Con questa evoluzione l’essenza specifica del cristianesimo si dissociò dalla sua origine storica. (1)
Questa dissociazione ebbe inizio già durante la vita di Gesù stesso, (2)
e fu completata, in linea di principio, con la discesa dello Spirito Santo a pentecoste. Tuttavia, l’attesa di un imminente avvento del regno venne di tanto in tanto fervidamente riaccesa dalle sofferenze delle persecuzioni e la più grandiosa espressione di questo pathos escatologico, l’Apocalisse di san Giovanni, venne inclusa nel canone delle Scritture, nonostante i dubbi sulla sua compatibilità con l’idea della Chiesa. Tale inclusione ebbe conseguenze decisive, perché con l’Apocalisse fu accolto il rivoluzionario annuncio dei mille anni in cui Cristo avrebbe regnato con i suoi santi su questa terra. (3)
Tale inclusione non solo sanzionò per sempre nell’ambito del cristianesimo l’incidenza dell’abbondante massa di letteratura apocalittica giudaica, ma pose in primissimo piano la questione dì come il chiliasmo potesse conciliarsi con l’idea e con l’esistenza della Chiesa. Se il cristianesimo consisteva nell’ardente desiderio di liberazione dal mondo, se i cristiani vivevano nell’attesa della fine della storia irredenta, se il loro destino poteva compiersi soltanto nel regno nel senso del capo 20 dell’Apocalisse, la Chiesa si riduceva a una provvisoria comunità di uomini che attendevano il grande evento e speravano che esso si verificasse nel corso della loro vita. Sul piano teorico, il problema poteva essere risolto solo dal tour de force interpretativo realizzato da sant’Agostino nella Civitas Dei. In quest’opera egli liquidò apertamente come “ridicola favola” la credenza nel millennio e, quindi, affermò risolutamente che il regno millenario era il regno di Cristo nella sua Chiesa nel tempo presente, che sarebbe continuato fino al giudizio finale e all’avvento del regno eterno nell’aldilà (4).
La concezione agostiniana della Chiesa rimase storicamente efficace, senza mutamenti sostanziali, sino alla fine del Medioevo. L’attesa rivoluzionaria di una Seconda Venuta che avrebbe trasfigurato la struttura della storia sulla terra fu liquidata come “ridicola”. Il Logos si era fatto carne in Cristo; la grazia della redenzione era stata concessa all’uomo; non ci sarebbe stata alcuna divinizzazione della società oltre la presenza spirituale di Cristo nella sua Chiesa. Il chiliasmo giudaico venne bandito insieme con il politeismo, allo stesso modo che il monoteismo era stato bandito insieme con il monoteismo pagano, metafisico. In questo modo la Chiesa diventava l’universale organizzazione spirituale di santi e di peccatori che professano la loro fede in Cristo, come rappresentante della civitas Dei nella storia, riflesso dell’eternità nel tempo. E, parallelamente, in base a questa concezione, l’organizzazione di potere della società diventava una rappresentanza temporale dell’uomo, nel senso specifico di una rappresentanza di quella parte della natura umana che si dissolverà con la trasfigurazione del tempo nell’eternità. L’unica società cristiana risultò così articolata nei suoi due ordini, spirituale e temporale. Nella sua articolazione temporale essa accettava la conditio humana. senza illusioni chiliastiche, mentre elevava l’esistenza naturale mediante la rappresentanza del destino spirituale attraverso la Chiesa.
A completamento del quadro bisogna anche ricordare che l’idea dell’ordine temporale aveva trovato storica concretezza nella realtà dell’impero romano. Roma fu inglobata nell’idea di una società cristiana mediante il riferimento alla profezia dì Daniele sulla Quarta Monarchia,(5) all’imperium sine fine,(6) inteso come l’ultimo regno prima della fine del mondo.(7) In questo modo, alla Chiesa come rappresentanza storicamente concreta del destino spirituale dell’uomo si affiancava, con perfetto parallelismo, l’impero romano come rappresentanza storicamente concreta della temporalità umana. Quindi, l’interpretazione dell’impero medievale come continuazione di Roma fu ben più che una vaga reminiscenza storica: essa era parte integrante di una concezione della storia nella quale la fine di Roma significava la fine del mondo nel senso escatologico. Questa concezione sopravvisse per secoli nel mondo delle idee, mentre si andavano via via sfaldando i sentimenti e le istituzioni che ne costituivano la base. La storia del mondo fu costruita in conformità con la tradizione agostiniana per l’ultima volta solo da Bossuet, nella sua Histoire universelle, verso la fine del secolo diciassettesimo, e il primo moderno che osò scrivere una storia universale in diretta opposizione a Bossuet fu Voltaire.
2.
La società cristiana occidentale risultò così articolata nei due ordini spirituale e temporale, con il papa e l’imperatore come supremi rappresentanti sia in senso esistenziale che trascendentale. Da questa società, con il suo codificato sistema di simboli, emergono i problemi moderni della rappresentanza, con la rinascita dell’escatologia del regno. Il movimento ha avuto una lunga preistoria sociale e intellettuale, ma il desiderio di una ridivinizzazione della società ha dato vita a un proprio definito simbolismo solo verso la fine del secolo dodicesimo. La nostra analisi prenderà quindi le mosse dalla prima chiara e completa espressione dell’idea, nella persona e nell’opera di Gioacchino da Fiore.
Gioacchino ruppe con la concezione agostiniana della società cristiana quando applicò il simbolo della Trinità al corso della storia. Nella sua concezione la storia del genere umano si articola in tre periodi, corrispondenti alle tre persone della Trinità. Il primo periodo del mondo è stato l’età del Padre; con la venuta di Cristo è cominciata l’età del Figlio. Ma l’età del Figlio non sarà l’ultima: essa sarà seguita da una terza età, quella dello Spirito Santo. Ciò che caratterizza le tre età è un sensibile incremento di pienezza spirituale. Nella prima età si affermò la vita dell’uomo profano; nella seconda età fiorì la vita attivo-contemplativa del sacerdote; nella terza si avrà la fioritura della perfetta vita spirituale del monaco. Inoltre, le tre età, secondo la concezione gioachimitica, presentano analoghe strutture interne e una durata calcolabile. Dal confronto delle strutture risulta che ciascuna età si apre con una triade di figure preminenti, cioè con due precursori, seguiti dal leader della rispettiva età; e, dal calcolo della durata, risulta che l’età del Figlio sarebbe finita nel 1260. Il leader della prima età fu Abramo, il leader della seconda fu Cristo e Gioacchino predisse che nel 1260 sarebbe apparso il Dux e Babylone, il leader della terza età.(8)
Nella sua escatologia trinitaria Gioacchino mise a punto il complesso di simboli sui quali si è fondata, fino ai nostri giorni, l’autointerpretazione della moderna società politica.
Il primo di questi simboli è la concezione della storia come successione di tre età, la terza delle quali costituisce il Terzo Regno finale. Sono mere varianti di questo simbolo il periodizzamento umanistico ed enciclopedistico della storia in storia antica, medievale e moderna; la teoria di Turgot e di Comte della successione delle tre fasi: teologica, metafisica e scientifica; la dialettica hegeliana dei tre stadi della libertà e della piena esplicazione dello spirito autocosciente; la dialettica marxiana dei tre stadi del comunismo primitivo, della società classista e del comunismo terminale; e, infine, il simbolo nazionalsocialista del Terzo Regno – benché qui si tratti di un caso particolare che richiede ulteriori precisazioni.
Il secondo simbolo è quello del leader.(9) Esso ebbe immediata influenza nel movimento dei francescani spirituali che videro in san Francesco l’adempimento della profezia gioachimitica; e la sua influenza risultò accresciuta dalla speculazione dantesca sul Dux della nuova età dello spirito. Se ne può ravvisare la presenza nelle figure paracletiche, negli homines spirituales e negli homines novi, del tardo Medioevo, del Rinascimento e della Riforma; è individuabile anche come componente nel Principe di Machiavelli; nel periodo della secolarizzazione esso ricompare nel superuomo di Condorcet, di Comte e di Marx, finché giunge a dominare la scena contemporanea attraverso i leaders paracletici dei nuovi regni.
Il terzo simbolo, che talvolta si confonde con il secondo, è quello del profeta della nuova età. Perché l’idea di un Terzo Regno finale abbia validità ed efficacia, il corso della storia come un tutto intelligibile e significativo dev’essere considerato accessibile alla conoscenza umana, attraverso una rivelazione diretta o una gnosi speculativa. Ecco perché il profeta gnostico o, nelle successive fasi di secolarizzazione, l’intellettuale gnostico diventa un elemento caratteristico della civiltà moderna. Gioacchino stesso è il primo esemplare di questa specie.
Il quarto simbolo è quello della fratellanza di persone autonome. La terza età di Gioacchino, mercé la nuova discesa dello Spirito, trasformerà gli uomini in membri del nuovo regno senza la mediazione sacramentale della grazia. Nella terza età la Chiesa cesserà di esistere, perché i doni carismatici, che sono necessari per la vita perfetta, raggiungeranno gli uomini senza l’intermediario dei sacramenti. Gioacchino concepì in concreto la nuova età come un ordine di monaci, tuttavia in tal modo risultò formulata, in linea di principio, anche l’idea di una comunità di persone spiritualmente perfette che possono vivere insieme senza bisogno di una autorità istituzionale. Quest’idea ammetteva infinite variazioni. Se ne possono scoprire le tracce, con diverso grado di purezza, nelle sètte del Medioevo e del Rinascimento, come pure nelle Chiese puritane dei santi; nella sua forma secolarizzata essa è diventata una componente decisiva del credo democratico contemporaneo; ed è inoltre il nucleo dinamico del misticismo marxiano del regno della libertà e del deperimento dello stato.
Il Terzo Regno nazionalsocialista è un caso particolare. Certo, la profezia millenarista di Hitler deriva in maniera evidente dalla speculazione gioachimitica, passata in Germania attraverso l’ala anabattista della Riforma e del cristianesimo giovanneo di Fichte, Hegel e Schelling. Tuttavia, l’applicazione concreta dello schema trinitario al primo Reich germanico, che terminò nel 1806, al Reich bismarkiano che terminò nel 1918 e al Dritte Reich del movimento nazionalsocialista, appare pedestre e provinciale se la si confronta con la speculazione storica a carattere universale degli idealisti tedeschi, di Comte o di Marx. Questa impronta nazionalistica e provinciale è dovuta al fatto che il simbolo del Dritte Reich non è scaturito dallo sforzo speculativo di un grande filosofo, ma è stato desunto da una pubblicistica di bassa lega. I propagandisti nazionalsocialisti lo trassero dall’opuscolo di Moeller van den Bruck pubblicato appunto con quel titolo.(10) E Moeller, che non aveva affatto propensioni nazionalsocialiste, lo aveva ritenuto un simbolo conveniente nel corso del suo lavoro sull’edizione tedesca di Dostoievskii, L’idea russa della Terza Roma è caratterizzata dalla commistione di un’escatologia del regno dello spirito con la sua realizzazione ad opera di una società politica, al pari dell’idea nazionalsocialista del Dritte Reich.
Dobbiamo ora prendere in esame quest’altra branca della ridivinizzazione politica.
Solo in Occidente la concezione agostiniana della Chiesa risultò storicamente efficace al punto da portare chiaramente alla doppia rappresentanza della società attraverso i due poteri, spirituale e temporale. Il fatto che il capo temporale avesse la sua sede a una considerevole distanza geografica da Roma favorì senz’altro questa evoluzione. Nell’Est si sviluppò invece la forma bizantina del cesaropapismo, che era continuazione diretta della posizione dell’imperatore nella Roma pagana. Costantinopoli era la Seconda Roma (come risulta dalla dichiarazione di Giustiniano relativa alla consuetudo Romae:
“Per Roma bisogna intendere non soltanto l’antica, ma anche la nostra regale città“.(11)
Dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi, l’idea di una successione di Mosca all’impero ortodosso guadagnò terreno nei circoli clericali russi. È opportuno, a questo proposito, citare i passi famosi di una lettera di Filofei di Pskov a Ivan il Grande:
“La Chiesa della prima Roma è caduta a causa dell’empia eresia di Apollinare. Le difese della seconda Roma a Costantinopoli sono state infrante dagli Ismaeliti. Oggi la santa Chiesa apostolica della terza Roma nel tuo impero splende nella gloria della fede cristiana attraverso il mondo. Tu sai, o pio Zar, che tutti gli imperi dei cristiani ortodossi sono confluiti nel tuo impero. Tu sei il solo autocrate dell’universo, il solo zar di tutti i cristiani… Secondo i libri profetici, tutti gli imperi cristiani hanno una fine e confluiranno in un unico impero, quello del nostro gossudar, cioè nell’impero di Russia. Due Rome sono cadute, ma la terza durerà, e non ce ne sarà una quarta“.(12)
Ci volle circa un secolo per istituzionalizzare l’idea. Ivan IV fu il primo Rurikide ad essere incoronato, nel 1547, zar degli Ortodossi (13) e nel 1589 il patriarca di Costantinopoli fu costretto a istituire il primo patriarcato autocefalo di Mosca, insieme con il riconoscimento ufficiale di Mosca come Terza Roma.(14)
Le date di emergenza e di istituzionalizzazione di questa idea sono importanti. Il regno di Ivan il Grande coincide con il consolidamento degli stati nazionali occidentali (Inghilterra, Francia e Spagna) e i regni di Ivan IV e di Teodoro I coincidono con la Riforma occidentale. Proprio nel periodo in cui l’articolazione imperiale occidentale raggiungeva la totale disintegrazione e la società occidentale si riarticolava nelle nazioni e nella pluralità delle Chiese, la Russia iniziava la sua carriera di erede di Roma, Fin dai suoi inizi, la Russia non era una nazione nel senso occidentale del termine, ma un’area di civiltà, dominata etnicamente dai Grandi Russi e costituita in società politica mediante il simbolismo della continuità romana.
Che la società russa fosse una realtà a sé stante fu gradualmente riconosciuto dall’Occidente. Ancora nel 1488 Massimiliano I tentava di integrare la Russia nel sistema politico occidentale offrendo una corona regale a Ivan il Grande. Il Granduca di Mosca rifiutò l’onore asserendo che la sua autorità gli derivava dai suoi antenati, che essa era benedetta da Dio e che quindi non c’era bisogno di conferma da parte dell’imperatore occidentale. (15) Un secolo dopo, nel 1576, al tempo delle guerre dell’Occidente contro i Turchi, Massimiliano II andò ancora più oltre, offrendo a Ivan IV di riconoscerlo imperatore dell’Oriente greco in cambio di assistenza. (16) Ma il sovrano russo non mostrò interesse neppure per la corona imperiale, perché, a quell’epoca, Ivan era già impegnato nella realizzazione dell’impero russo mediante la liquidazione della nobiltà feudale e la sua sostituzione con la oprichnina, la nuova nobiltà di servizio.(17) Con questa sanguinosa operazione, Ivan il Terribile impose alla Russia quella indelebile articolazione sociale che ha determinato la sua intera storia politica fino ai giorni nostri. Sul piano trascendentale, la Russia si distinse da tutte le nazioni occidentali come rappresentante imperiale della verità cristiana; e, per effetto della sua riarticolazione, dalla quale lo zar emerse come rappresentante esistenziale, essa fu radicalmente tagliata fuori dallo sviluppo delle istituzioni rappresentative nel senso degli stati nazionali dell’Occidente. Infine, Napoleone riconobbe il problema russo quando affermò, nel 1802, che c’erano solo due nazioni nel mondo; la Russia e l’Occidente.(18)
La Russia sviluppò un tipo sui generis di rappresentanza, sotto il profilo sia trascendentale che esistenziale. L’occidentalizzazione, a partire da Pietro il Grande, non mutò sostanzialmente il tipo, perché essa non ebbe alcuna incidenza sull’articolazione sociale. Si può, in realtà, parlare di un’occidentalizzazione personale nelle file dell’alta nobiltà, sulla scia delle guerre napoleoniche, nella generazione dei Chaadaev, dei Gagarin e dei Pecherin; ma i singoli servitori dello zar non si trasformarono in uno stato della nobiltà, in un baronagium articolato. Forse non fu neppure avvertita la necessità di un’azione cooperativa di classe come condizione per l’occidentalizzazione politica della Russia; e ammesso che fosse esistita la possibilità di un’evoluzione in questo senso, essa senza dubbio cessò con la rivolta decabrista del 1825. Subito dopo, con Khomyakov, cominciò la slavofilia, antioccidentale filosofia della storia che, esercitando una vasta influenza sull’intellighenzia della media nobiltà, ampliò l’apocalisse della Terza Roma nella messianica, escatologica missione della Russia a favore del genere umano. In Dostoievskij questa sovrapposizione del messianismo si cristallizzò nella visione, stranamente ambivalente, di una Russia autocratica, ortodossa, che avrebbe in qualche modo conquistato il mondo e in questa conquista si sarebbe trasformata nella libera società di tutti i cristiani nella vera fede.(19) È la stessa ambivalente visione che, nella sua forma secolarizzata, ispira una dittatura russa del proletariato che, nella sua conquista del mondo, si trasformerà nel regno marxiano della libertà.
Il tentativo di articolazione occidentale della società russa, compiuto sotto gli zar liberali, si ridusse a un episodio del passato con la rivoluzione del 1917. I cittadini, nel loro complesso, sono di nuovo diventati i servitori dello zar nel vecchio senso moscovita, con i quadri del partito comunista nel ruolo della nobiltà di servizio; Voprichnina, che Ivan il Terribile aveva istituito sulla base di un’economia agricola, fu reintrodotta con larghezza ancora maggiore sulla base di un’economia industriale. (20)
3.
Dall’esame dei simboli gioachimitici, dalla rapida rassegna delle loro successive varianti e dalla loro fusione con l’apocalisse politica della Terza Roma, dovrebbe risultare evidente che la nuova escatologia ha avuto un influsso decisivo sulla struttura della politica moderna. Essa ha prodotto un ben definito simbolismo, per mezzo del quale le società politiche dell’Occidente interpretano il significato della loro esistenza; e i fautori dell’una o dell’altra variante determinano l’articolazione della società sia sul piano interno che sulla scena mondiale. Fino a questo punto, tuttavia, il simbolismo è stato accolto a livello dì autointerpretazione e descritto come fenomeno storico. Esso deve ora essere sottoposto ad analisi critica nelle sue principali componenti e tale analisi deve avere a proprio fondamento l’individuazione degli aspetti teoricamente validi del problema.
L’escatologia gioachimitica è, quanto al suo contenuto, una speculazione sul significato della storia. Al fine di coglierne la differenza specifica, è necessario metterla a confronto con la filosofia cristiana della storia che era tradizionale a quel tempo, cioè con la speculazione agostiniana. Nella speculazione tradizionale si era introdotta l’idea giudaico-cristiana di una fine della storia intesa nel senso di un constatabile stato di perfezione. La storia non si svolgeva più ciclicamente, come pensavano Platone e Aristotele, ma procedeva verso una propria direzione e destinazione. Superando il messianismo giudaico in senso stretto, la concezione specificamente cristiana della storia era pervenuta a interpretare la fine della storia come un compimento trascendente. Elaborando questa intuizione teorica, sant’Agostino aveva introdotto la distinzione tra una storia profana, nella quale gli imperi sorgono e crollano, ed una storia sacra, che al suo vertice ha la venuta di Cristo e l’istituzione della Chiesa. Egli inoltre inserì la storia sacra in una storia trascendentale della civitas Dei che include sia gli eventi della sfera angelica che il trascendentale sabbath eterno. Solo la storia trascendentale, compreso in essa il pellegrinaggio terreno della Chiesa, è diretta verso il suo adempimento escatologico. La storia profana invece non procede in alcuna direzione; essa si riduce a un’attesa della fine e il suo tipico tratto caratterizzante è quello di essere un saeculum senescens, un’età che invecchia.(21)
Al tempo di Gioacchino, la civiltà occidentale era in una fase di robusta fioritura: un’età che cominciava ad assumere coscienza del proprio vigore non poteva facilmente adattarsi al disfattismo agostiniano nei confronti della sfera mondana dell’esistenza. La speculazione gioachimitica fu un tentativo di conferire al corso immanente della storia un significato che la concezione agostiniana gli negava. A questo fine, Gioacchino utilizzò il materiale allora a sua disposizione, cioè il significato della storia trascendentale. In questo primo tentativo occidentale di immanentizzazione di tale significato trascendentale, il nesso con il cristianesimo non andò perduto. La nuova età di Gioacchino avrebbe portato una maggiore pienezza spirituale nella storia, ma ciò non sarebbe stato determinato da un’eruzione dall’interno: esso sarebbe invece venuto da una nuova irruzione trascendentale dello Spirito. L’idea di un incremento completamente immanentistico di pienezza spirituale si andò affermando piuttosto lentamente, nel corso di un lungo processo che potrebbe essere compendiato nella formula “dall’umanesimo all’illuminismo”: solo nel secolo diciottesimo, con l’idea di progresso, l’incremento di significato nella storia divenne un fenomeno intramondano, senza irruzioni trascendentali. Qualificheremo come “secolarizzazione” questa seconda fase del processo di immanentizzazione.
Dall’immanentizzazione gioachimitica emerge un problema teorico che non si presenta ne nell’antichità classica ne nel cristianesimo ortodosso: il problema di un eidos della storia. (22) Anche nella speculazione ellenica esiste un problema dell’essenza in sede politica: la polis ha un eidos sia per Platone che per Aristotele. Ma l’attuazione di questa essenza è governata dal ritmo dello sviluppo e della decadenza, e la ritmica incarnazione e disincarnazìone dell’essenza nella realtà politica è il mistero dell’esistenza: non è un eidos addizionale. Poi, la verità soteriologica del cristianesimo provoca una frattura nel ritmo dell’esistenza: al di là dei successi e dei fallimenti temporali resta il destino soprannaturale dell’uomo, la perfezione, attraverso la grazia, nell’aldilà.
L’uomo e il genere umano hanno ora un compimento, che però si realizza oltre la natura. Neppure in questo caso si può parlare di un eidos della storia, perché la soprannatura escatologica non è una natura in senso filosofico, immanente.
Il problema di un eidos della storia emerge quindi soltanto quando viene immanentizzato l’adempimento trascendentale cristiano. Ma codesta ipostasi immanentistica dell’eschaton è un errore teorico. Le cose non sono cose, ne ricevono la loro essenza per effetto di un’affermazione arbitraria. Il corso della storia, nella sua totalità, non è oggetto di esperienza: la storia non ha alcun eidos, perché il corso della storia si protende nell’ignoto futuro. Il significato della storia è quindi un’illusione e questo eidos illusorio si forma trattando un simbolo di fede alla stregua di una proposizione relativa a un oggetto di esperienza immanente.
Abbiamo dunque messo in luce, in termini generali, il carattere fallace di un eidos della storia: ma dobbiamo e possiamo spingere più innanzi l’analisi, scendendo a qualche dettaglio. Il simbolismo cristiano della destinazione soprannaturale è dotato di una propria struttura teorica, e questa struttura ricompare nelle varianti dell’immanentizzazione. Il progresso del pellegrino, la santificazione della vita, è un movimento verso un telos, verso un fine, e questo fine, la visione beatifica, è uno stato di perfezione. Nel simbolismo cristiano quindi si può distinguere il movimento, come sua componente teleologica, da uno stato di sommo valore come sua componente axiologica.(23) Le due componenti ricompaiono nelle varianti dell’immanentizzazione: tali varianti si possono ripartire in categorie diverse, a seconda che accentuano la componente teleologica o la componente axiologica o le combinano insieme nel loro simbolismo. Nel primo caso, quando l’accento è posto essenzialmente sul movimento, senza una chiara prospettiva di perfezione finale, ne risulterà una interpretazione progressista della storia. Il fine non richiede chiarimento, perché pensatori progressisti come Diderot o D’Alembert assumono a metro valutativo una selezione di fattori desiderabili e interpretano il progresso come incremento qualitativo e quantitativo del bene presente.
Questo è un atteggiamento conservatore, che può diventare reazionario se l’originario metro valutativo non viene adeguato al mutare delle situazioni storiche. Nel secondo caso, quando l’accento è posto essenzialmente sullo stato di perfezione, senza chiara visuale dei mezzi necessari al suo conseguimento, il risultato è quello dell’utopismo. Esso può assumere la forma di un mondo axiologico di sogno, come nell’utopia di Moro, quando il pensatore sa che il sogno è irrealizzabile e ne conosce il perché; oppure, in un contesto di insufficiente senso critico, può assumere la forma dei vari idealismi sociali, come l’abolizione della guerra, dell’ineguale distribuzione della proprietà, della paura e del bisogno. Infine, il processo di immanentizzazione può estendersi al simbolo cristiano nel suo complesso. Il risultato sarà allora il misticismo attivistico di uno stato di perfezione, da conseguire attraverso una trasformazione rivoluzionaria della natura umana, come per esempio nel marxismo.
4.
Possiamo ora riassumere, sul piano di principio, l’analisi fin qui condotta. Il tentativo di costruire un eidos della storia fatalmente conduce all’erronea immanentizzazione dell’eschaton cristiano. Tuttavia, la qualifica di erroneo, attribuita al tentativo, solleva complesse questioni in merito al tipo umano che vi indulge. L’errore sembra elementare. Si può presumere che i pensatori che vi sono caduti non fossero abbastanza intelligenti da rendersene conto? Oppure che, pur rendendosene conto, lo abbiano nondimeno propagato per qualche oscura ragione? Nella formulazione stessa di siffatte domande è già implicita una risposta negativa. È impossibile, infatti, bollare di stupidità e disonestà sette secoli di storia intellettuale. Bisogna piuttosto presumere l’esistenza in questi uomini di un particolare impulso che li ha resi ciechi di fronte a quell’errore.
La natura di questo impulso non si può scoprire sottoponendo a più acuta analisi tale errore. Bisogna piuttosto badare ai risultati conseguiti da quei pensatori con la loro erronea costruzione. Su questo punto, nessun dubbio è possibile; essi hanno conseguito una certezza sul significato della storia e sul posto che occupano in essa, certezza che altrimenti non avrebbero potuto conseguire. Di certezze l’uomo ha bisogno per vincere le incertezze e l’ansia che le accompagna. A questo punto, quindi, bisogna chiedersi: quale incertezza fu così tormentosa da indurre l’uomo a superarla con gli equivoci mezzi di una erronea immanentizzazione? Non occorre cercare la risposta molto lontano. L’incertezza è l’autentica essenza del cristianesimo. Il senso di sicurezza che dava il vivere in un “mondo pieno di dèi” andò distrutto con la scomparsa di quegli dèi; quando il mondo è dedivinizzato, la comunicazione col Dio che trascende il mondo si riduce al tenue vincolo della fede, nel senso di Ebr, 11,1: fede è sostanza di ciò che dobbiamo sperare e prova di ciò che non vediamo. Ontologicamente, la sostanza di cose sperate si trova solo nella fede, ed epistemologicamente soltanto la fede è prova delle cose che non vediamo.(24)
Il vincolo è davvero tenue e facile a spezzarsi. La vita dell’anima che si apre verso Dio, l’attesa, i periodi di aridità e di fiacchezza, di colpa e di sconforto, di contrizione e di pentimento, di disperazione e di speranza, le silenziose emozioni dell’amore e della grazia, la trepidazione sull’orlo di una certezza che, se conquistata, si risolve in una perdita – l’estrema fragilità di codesto edificio può riuscire un peso troppo pesante per uomini che cercano possessi sicuri ed esperienze concrete. Il pericolo che la fede si incrini in misura socialmente rilevante è destinato a crescere, con l’estendersi del cristianesimo su scala mondiale; è destinato cioè a crescere quando il cristianesimo penetra completamente un’area di civiltà, sostenuto da pressioni di carattere istituzionale, e quando subisce nello stesso tempo un processo interno di spiritualizzazione, di più completa realizzazione della sua essenza. Quanto maggiore è la massa umana attratta o costretta nell’orbita cristiana, tanto maggiore è il numero delle persone che non hanno il vigore spirituale adeguato a quell’eroica avventura dell’anima che è il cristianesimo; e la probabilità di una caduta dalla tede è destinata a crescere quando il progresso civile dell’educazione, della cultura, del dibattito intellettuale fa comprendere a un numero sempre maggiore di uomini la tremenda serietà del cristianesimo. Entrambi questi processi hanno caratterizzato l’alto Medioevo. Non possiamo qui soffermarci sui dettagli storici: basterà richiamarsi sommariamente alle società urbane in espansione, con la loro intensa cultura spirituale, come ai centri dai quali primamente il pericolo si è irradiato nel complesso della società occidentale.
Se il fenomeno di una caduta dalla fede si manifesta come fenomeno di massa, le conseguenze dipenderanno dall’ambiente di civiltà in cui gli agnostici ricadono. Un uomo non può cadere all’indietro in senso assoluto, perché in questo caso scoprirebbe ben presto di essere caduto nell’abisso della disperazione e del nulla; egli dovrà ripiegare su una cultura meno differenziata di esperienza spirituale. Nelle condizioni di civiltà del secolo dodicesimo era impossibile un ritorno al politeismo greco-romano, perché quest’ultimo era ormai finito come cultura viva di una società; e quel poco che di esso restava non poteva rivivere, proprio perché aveva perduto ogni significato per uomini che avevano conosciuto il cristianesimo.
Il ripiegamento poteva avvenire soltanto verso esperienze che fossero abbastanza prossime all’esperienza della fede perché la differenza potesse essere scorta soltanto da un occhio esercitato, ma che nello stesso tempo ne fossero abbastanza lontane da poter servire da rimedio all’incertezza della fede in senso stretto. Siffatte esperienze alternative erano offerte dalla gnosi che aveva accompagnato il cristianesimo fin dalle sue prime origini.(25)
Non è possibile, nei limiti di questo capitolo, procedere a una descrizione dettagliata della gnosi antica o della sua trasmissione al Medioevo occidentale; basterà ricordare che, a quel tempo, la gnosi era una cultura religiosa viva sulla quale era possibile ripiegare. Il tentativo di immanentizzare il significato dell’esistenza è, in sostanza, il tentativo di assicurare alla nostra conoscenza del trascendente una presa più salda di quella consentita dalla cognitio fidei, dalla cognizione della fede; e le esperienze gnostiche offrono questa più salda presa perché esse dilatano l’anima a tal punto da includere Dio nell’esistenza dell’uomo. Questa dilatazione impegna le varie facoltà umane e quindi è possibile una varietà di gnosi secondo la facoltà che predomina nell’atto con cui si prende possesso di Dio. La gnosi può essere soprattutto intellettuale e assumere la forma di una penetrazione speculativa del mistero della creazione e dell’esistenza, come per esempio nella gnosi contemplativa di Hegel o di Schelling. O può essere soprattutto emozionale e assumere la forma di una inabitazione della sostanza divina nell’anima umana, come per esempio nei leaders paracletici delle sètte. O può essere soprattutto volontaristica e assumere la forma di una redenzione attivistica dell’uomo e della società, come nel caso degli attivisti rivoluzionati tipo Comte, Marx o Hitler. Queste esperienze gnostiche, in tutta la loro varietà, sono il centro da cui si irraggia il processo di ridivinizzazione della società, perché gli uomini che si abbandonano a queste esperienze divinizzano se stessi sostituendo alla fede in senso cristiano una più concreta partecipazione alla divinità.(26)
Senza una chiara comprensione di queste esperienze come centro attivo di irradiamento dell’escatologia immanentistica non si coglie l’intima logica dello sviluppo politico occidentale dall’immanentismo medievale, attraverso l’umanesimo, l’illuminismo, il progressismo, il liberalismo, il positivismo, fino al marxismo. I simboli intellettuali elaborati dai vari tipi di immanentisti risultano frequentemente in conflitto tra loro, come Io sono anche i vari tipi di gnostici. È facile immaginare con quale indignazione reagirebbe un radicale a cui si dicesse che il suo particolare immanentismo non è poi molto lontano dal marxismo. Sarà quindi opportuno ribadire il principio che la sostanza della storia va ricercata a livello delle esperienze, non a livello delle idee. Si può considerare il secolarismo come la radicalizzazione delle precedenti forme di immanentismo paracletico, perché la pratica divinizzazione dell’uomo è più radicale nel caso del secolarismo. Feuerbach e Marx, per esempio, interpretarono il Dio trascendente come la proiezione in un aldilà ipostatico della parte migliore dell’uomo; per essi, il punto di svolta decisivo della storia viene raggiunto quando l’uomo riconduce dentro di sé questa proiezione, quando prende coscienza di essere egli stesso Dio, quando insomma l’uomo si trasfigura in superuomo.(27) Questa trasfigurazione marxiana porta, in realtà, alle sue estreme conseguenze un’esperienza medievale meno radicale, quella per cui lo spirito di Dio è fatto penetrare nell’uomo, pur restando integra la trascendenza di Dio stesso. II superuomo rappresenta il punto terminale di una strada sulla quale si incontrano figure come gli “uomini indiati” dei mistici della Riforma inglese.(28) Queste considerazioni, inoltre, chiariscono e giustificano il nostro precedente avvertimento a non cedere alla suggestione di qualificare come neopagani i moderni movimenti politici. Le esperienze gnostiche determinano una struttura sui generis della realtà politica. Lo gnosticismo contemporaneo deriva direttamente, per via di graduale trasformazione, da quello medievale. E la trasformazione è realmente così graduale che è difficile stabilire se i fenomeni contemporanei debbano essere classificati come cristiani, giacché si riesce a dimostrare che sono un prodotto delle eresie cristiane del Medioevo, oppure se i fenomeni medievali debbano essere classificati come anticristiani, giacché si può dimostrare che costituiscono il punto di partenza dell’anticristianesimo moderno. La cosa più saggia, comunque, è di lasciar cadere questi interrogativi e riconoscere nell’avanzata dello gnosticismo il tratto essenziale della modernità.
La gnosi ha accompagnato il cristianesimo fin dalle sue origini; tracce di essa si riscontrano in san Paolo e san Giovanni. (29) L’eresia gnostica fu la grande antagonista del cristianesimo dei primi secoli ed Ireneo ne criticò le diverse varianti nell’opera Adversus haereses (180 circa) – che è un trattato fondamentale, consultabile con profitto anche dallo studioso che cerchi di comprendere le idee e i movimenti politici moderni. Ma, oltre alla gnosi cristiana, si è avuta anche una gnosi ebraica, una pagana e una islamica; ed è molto probabile che l’origine comune di tutte queste gnosi sia nell’esperienza predominante nell’area precristiana della civiltà siriaca. Tuttavia, la gnosi non ha mai assunto la forma di speculazione sul significato della storia immanente come nell’alto Medioevo; la gnosi di per sé non porta all’erronea costruzione della storia che caratterizza la modernità da Gioacchino in poi. Quindi, l’impulso che spinge alla conquista della certezza deve avere alla sua base anche un’altra componente, che fa specificamente tendere la gnosi verso la speculazione storica. Quest’altra componente è costituita dall’espansionismo della civiltà propria della società occidentale nell’alto Medioevo. È una società che, diventando maggiorenne, cerca il senso di se stessa; è una società che cresce ed ha coscienza della propria crescita e quindi non può più accettare l’interpretazione tradizionale della senescenza. E infatti il processo attraverso il quale la civiltà occidentale si attribuì un senso si sviluppò in stretto parallelismo col processo dì effettiva espansione e differenziazione.
La crescita spirituale dell’Occidente attraverso gli Ordini, a cominciare da Cluny, si espresse, nella speculazione di Gioacchino, nell’idea di un Terzo Regno dì monaci; il primitivo umanesimo filosofico e letterario si espresse nell’idea dantesca e petrarchesca di un impero apollineo, di un Terzo Regno di vita intellettuale che succede agli ordini, spirituale e temporale, dell’impero;(30) e nell’Età della Ragione un Condorcet concepì l’idea di una civiltà unitaria del genere umano, nella quale ogni uomo avrebbe avuto i tratti caratteristici di un intellettuale francese (31). I vettori sociali dei movimenti, a loro volta, cambiarono col progressivo differenziarsi e articolarsi della società occidentale. Nelle primitive fasi della modernità furono gli abitanti delle città e i contadini in opposizione alla società feudale; nelle fasi più tarde furono la borghesia progressista, i lavoratori socialisti e la bassa classe media fascista. E, finalmente, con il prodigioso progresso della scienza a partire dal secolo diciassettesimo, questo nuovo strumento di conoscenza doveva diventare, si può dire fatalmente, il simbolico veicolo della verità gnostica. Nella speculazione gnostica dello scientismo questa variante particolare giunse al suo culmine, quando il positivista che aveva portato la scienza al limite della perfezione sostituì all’èra di Cristo l’èra di Comte. Lo scientismo è rimasto fino ai nostri giorni uno dei più forti movimenti gnostici della società occidentale e l’orgoglio immanentistico nella scienza è così forte che anche le scienze particolari ne presentano tutte un evidente sedimento nelle varianti della salvezza attraverso la fisica, la sociologia, la biologia e la psicologia.
5.
Questa analisi delle componenti presenti nella moderna speculazione gnostica non pretende di essere esauriente, ma è stata spinta abbastanza innanzi da soddisfare alle esigenze del nostro fine immediato, che è quello di chiarire le esperienze che determinano l’articolazione politica della società occidentale sotto il simbolismo del Terzo Regno. Dall’analisi emerge l’immagine di una società individuabile e intelligibile come un tutto unitario nella sua evoluzione quale rappresentante di un tipo storicamente originale di verità gnostica. Seguendo il procedimento aristotelico, l’analisi ha preso le mosse dall’autointerpretazione della società per mezzo dei simboli gioachimitici del secolo dodicesimo. Ora che il loro significato è stato chiarito attraverso l’interpretazione teorica, si può assegnare una data all’inizio di questo ciclo di civiltà. Una data conveniente al suo inizio formale sarebbe quella del rilancio dell’antico gnosticismo ad opera di Scoto Eriugena nel secolo nono, perché le sue opere, al pari di quelle di Dionigi Areopagita da lui tradotte, esercitarono un’influenza continua sulle sètte gnostiche clandestine prima che emergessero alla superficie nel secolo dodicesimo e tredicesimo.
È un ampio arco di tempo, che si estende per un migliaio d’anni, lungo abbastanza da stimolare riflessioni sul suo declino e sulla sua fine. Queste riflessioni sulla società occidentale intesa quale ciclo di civiltà considerato come un tutto che procede intelligibilmente verso una fine, hanno suscitato una delle più ardue questioni per lo studioso di politica occidentale. Da una parte, ha inizio nel secolo diciottesimo una corrente continua di letteratura sul declino della civiltà occidentale; e, quali che siano le perplessità che si possono nutrire a proposito delle varie argomentazioni, non si può negare che i teorici del declino siano nel complesso dalla parte della ragione. Dall’altra, lo stesso periodo è caratterizzato, quant’altri mai, da una esuberante vitalità nelle scienze, nella tecnologia, nel controllo materiale dell’ambiente, nell’incremento demografico, nel livello di vita, di salute e di comfort, di educazione di massa, di consapevolezza e responsabilità sociale; e, anche in questo caso, quali che siano le perplessità che si possono nutrire a proposito di ciascuno di questi aspetti, non si può negare che i sostenitori del progresso siano anch’essi dalla parte della ragione.
Questa divergenza interpretativa ci aiuta a mettere a fuoco l’ardua questione, alla quale più sopra accennavamo: come può una civiltà nello stesso tempo progredire e regredire? È un interrogativo sul quale è conveniente soffermarsi, perché non è escluso che l’analisi del moderno gnosticismo possa fornire almeno una soluzione parziale del problema.
La speculazione gnostica superò l’incertezza della fede mediante un ripiegamento dalla trascendenza e conferendo all’uomo e alla sua azione intramondana un significato di compimento escatologico. A mano a mano che questo processo di immanentizzazione progrediva sul piano dell’esperienza, l’attività di civilizzazione si trasformò in uno sforzo mistico di autosalvazione. La forza spirituale dell’anima, che nel cristianesimo era consacrata alla santificazione della vita, poteva essere ora consacrata alla più seducente, più tangibile e, dopo tutto, tanto più facile creazione di un paradiso terrestre. L’azione di civilizzazione divenne un divertissement, nel senso pascaliano del termine, ma un divertissement che demoniacamente assorbiva in sé il destino eterno dell’uomo e si sostituiva alla vita dello spirito. Nietzsche, più lucidamente di qualsiasi altro, indicò la natura di questa diversione demoniaca quando si chiese perché mai tutti si debba vivere nell’imbarazzante condizione di aver bisogno dell’amore e della grazia di Dio.
“Amate voi stessi attraverso la grazia“, fu la sua soluzione, “e allora non avrete più bisogno del vostro Dio, e potrete vivere in voi stessi tutt’intero il dramma della caduta e della redenzione dal principio alla fine“.(32)
Ma come realizzare questo miracolo dell’autosalvazione, come realizzare questa redenzione accordando la grazia a se stessi? La grande risposta fu data dalla storia con i successivi tipi di azione gnostica che hanno conferito alla civiltà moderna il suo specifico carattere. Il miracolo fu realizzato con successo attraverso l’eccellenza letteraria e artistica, che assicurava l’immortalità della fama all’intellettuale umanistico; attraverso la disciplina e il successo economico, che era attestazione di salvezza per il santo puritano; attraverso i contributi al progresso civile dei liberali e dei progressisti; e, finalmente, attraverso l’azione rivoluzionaria destinata a realizzare in terra il millennio comunista o qualche altro millennio gnostico. In questo modo, lo gnosticismo fu estremamente efficace nel liberare energie umane destinandole alla costruzione di una civiltà, perché appunto nella loro fervida applicazione all’attività intramondana consisteva la salvezza. Il risultato storico fu stupendo. Le risorse umane venute alla luce per effetto di questa spinta furono una autentica rivelazione e la loro applicazione all’opera civilizzatrice produsse lo spettacolo, davvero stupefacente, della progressiva società occidentale. Per quanto fatue possano essere certe considerazioni superficiali, sul piano dell’esperienza è senz’altro giustificata la diffusa convinzione che la civiltà moderna sia la Civiltà per eccellenza; attribuendole questo significato di salvezza, si è davvero fatto della crescita dell’Occidente un’apocalisse della civiltà.
Ma un’ombra è scesa a offuscare questo spettacolo, perché a questa stupenda espansione si accompagna un pericolo che cresce rapidamente con il progresso. La natura di questo pericolo è divenuta evidente nella forma che l’idea della salvezza immanentistica ha assunto nello gnosticismo di Comte. Il fondatore del positivismo fissò il premio per i contributi recati al progresso della civiltà: viene garantita l’immortalità, il ricordo perenne nella memoria del genere umano, alla persona e alle opere di quanti hanno contribuito attivamente a quel progresso. Vari sono i gradi di tale immortalità e l’onore sommo consiste nell’assunzione dei più meritevoli nel calendario dei santi positivistici. Ma, in quest’ordine di cose, quale destino tocca agli uomini che preferiscono seguire Dio piuttosto che il nuovo Augusto Comte? Questi miscredenti, che non sono disposti a offrire il loro contributo sociale misurabile col metro comtiano, sono votati all’inferno dell’oblio sociale. È un’idea sulla quale bisogna concentrare l’attenzione. Noi abbiamo qui un paracleto gnostico che assume il ruolo di giudizio finale immanentistico del genere umano e decide l’immortalità o l’annientamento di ogni singolo essere umano. La civiltà materiale dell’Occidente è ancora in fase espansiva, ma già a questo livello di civiltà in espansione, i simboli del contributo, della memoria e dell’oblio lasciano intravedere i contorni di quelle “buche dell’oblio” nelle quali i divini redentori degli imperi gnostici fanno precipitare le loro vittime con una pallottola nella nuca. Questa conclusione del progresso non era stata prevista nei giorni alcionici dell’esuberanza gnostica. Milton liberò Adamo ed Eva con “un paradiso dentro di loro, molto più felice” del paradiso perduto; quand’essi si fecero innanzi, “il mondo era tutto davanti a loro” ed essi ebbero di che rallegrarsi “pensando alla felice conclusione“. Ma quando, sul piano storico, l’uomo si fa innanzi, recando “dentro di sé” il paradiso gnostico, e penetra nel mondo che gli si stende davanti, non ha molto di che rallegrarsi, pensando alla conclusione, tutt’altro che felice, che lo attende.
La morte dello spirito è il prezzo del progresso. Nietzsche svelò questo mistero dell’apocalisse occidentale quando annunciò che Dio era morto assassinato.(33) Continuano a perpetrare questo assassinio gnostico gli uomini che sacrificano Dio alla civiltà. Quanto maggiore è la frenesia con cui tutte le energie umane vengono consacrate alla grande impresa della salvezza attraverso l’azione immanente al mondo, tanto più gli esseri umani che si impegnano in questa impresa si allontanano dalla vita dello spirito. E poiché la vita dello spirito è la fonte dell’ordine nell’uomo e nella società, i successi di una civiltà gnostica diventano causa del suo declino.
Una civiltà può quindi progredire e regredire nello stesso tempo – ma non indefinitamente. C’è un limite a questo processo ambiguo; e il limite è raggiunto quando una setta attivistica, che rappresenta la verità gnostica, organizza la civiltà in un impero di suo dominio. Il totalitarismo, inteso come dominazione esistenziale di attivisti gnostici, è la forma conclusiva alla quale approda ogni civiltà votata al culto del progresso.
NOTE
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