Il mito del progresso è quello che la società nel suo complesso deve ancora “liberarsi di…”. C’è una tendenza nel considerare la storia come una sorta di grafico a linee senza fine. La tecnologia si aspetta di portarsi per sempre in avanti, verso il futuro e per sempre, credendo di aumentare la qualità della vita delle masse.
Proprio come Marx – probabilmente il padre dell’analisi più pungente del capitale – che mantiene ferma la teoria del materialismo storico. Lui, insieme ad Engels, sviluppa la teoria lineare della storia progredendo dal comunismo primitivo, verso il feudalesimo e sempre avanti verso il comunismo. Riconobbero anche la capacità produttiva del capitalismo che disprezzarono così tanto. Per essi, il comunismo può aver luogo solo tornando alla produttività capitalista.
“Quando, nel corso dello sviluppo, le differenze di classe saranno scomparse e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani di una più grande associazione in tutta la nazione, il potere pubblico perderà il suo carattere politico.”, Karl Marx
Quello di Marx, pare essere un vero e proprio inno alla Tecnocrazia. Perfino coloro che sostengono di opporsi al capitale, si aggrappano ancora al mondo che il capitale ha creato. Le masse confondono fin troppo volentieri il concetto di capitalismo con quello di corporativismo. La scuola del marxismo analitico ha la profonda convinzione che “[…] la storia sia – fondamentalmente – la crescita della capacità produttiva umana e che le forme della società nascano e muoiano a seconda di come queste consentano od impediscano la crescita.”
Poi, troviamo anche quelli che si identificano come “anarco-transumanisti“, la versione in cui l’anarchia è “[…] la consapevolezza che la vittoria della classe operaia arriverà solamente quando ogni lavoratore sarà il proprietario individuale dei mezzi di produzione, in grado di fabbricare tutto da solo qualsiasi cosa“.
Gli spettri di produzione del progresso ossessionano ancora molti dei quali affermano di opporvisi.
D’altra parte, coloro che abbracciano irrefrenabilmente il capitale, non fanno altro che elevare tecnologia e produzione al livello di religione. Per loro, il progresso non è più un mito del passato da portare avanti nel tempo, ma una pericolosa fede nella traiettoria del futuro.
I sacerdoti di questa fede non sono armati di testi religiosi e rosari, ma di computer e nanotecnologie. Questo è l’avvento della tecnocrazia.
“Sì, beh… abbiamo bisogno di una nuova religione. Un ruolo principale della religione deve essere quello di razionalizzare la morte; dal momento che ne sappiamo poco e non c’è nulla di costruttivo, potremmo occuparcene noi.”, Ray Kurzweil (parte del team di Google, ricopre il ruolo di Director of Engineering per il gruppo di Mountain View)
Piuttosto che allettare le persone con una vita ultraterrena, i transumanisti tentano le persone con la promessa di una vita eterna. Invece che una vita eterna trascorsa a celebrare Dio nel cielo, ci viene offerta la possibilità di vivere eternamente attraverso l’inserimento di piccole macchine nei nostri corpi o facendo l’uploading del nostro cervello in un computer (vedi, mind uploading). La promessa dell’aldilà sta ancora penzolando davanti a noi, come futura promessa da parte di coloro che detengono il vero potere.
Come religione millenaria – perché di religione trattasi – questi tecnocrati offrono una “quasi certa” immagine del futuro. In vena di Cristianesimo, Rastafari, il Ghost Dance ed altri innumerevoli movimenti, l’immagine di un certo cambiamento è promesso ad un certo punto del futuro. Per questi sostenitori del progresso lineare, ci stiamo muovendo sempre verso la fine della storia come noi la conosciamo, per raggiungere più avanti un futuro glorioso.
In genere, l’ingegneria religiosa comporta la riconcettualizzazione dei concetti metafisici intrinseci alle fedi tradizionali. Per esempio, gli utopisti sociopolitici del marxismo hanno riconcettualizzato il tradizionale Eschaton di Paradiso e Inferno, trapiantandolo all’interno del piano ontologico dell’universo fisico. Questi primi progetti di ingegneria religiosa che risultano nei movimenti secolari, sociologicamente, si comportano come le religioni. Gli scienziati sociali sono stati coinvolti per molti anni in progetti di ingegneria religiosa.
Saint-Simon, il mentore di Auguste Comte, è stato impegnato in progetti di ingegneria religiosa molti anni prima che la sociologia venisse formalmente istituzionalizzata. La visione saintsimoniana per una sociocrazia fu accompagnata da una nuova religione scientista. Soprannominata il “nuovo cristianesimo“, questa fede scientista offre “morale senza metafisica” e “tecnologia senza teologia”. Saint-Simon sperava che il suo “nuovo cristianesimo” avrebbe divorziato dalla politica di governo, con un conseguente sistema apolitico di “esperti“.
Lo scrisse anche J.H. Billington, “[…]L’autorità politica doveva essere sostituita dell’autorità sociale nella sua utopia tecnocratica [di Saint-Simon]. Doveva essere amministrata da tre camere: Invenzioni gestite da ingegneri, Review gestite da scienziati ed Esecuzioni gestite dagli industriali. Un Collegio Supremo doveva elaborare leggi fisiche e morali e due accademie ancor più elevate, il Ragionamento e Sentimento, che si dovevano riempire con una nuova razza di scrittori propagandistici ed artisti”.
Il concetto saintsimoniano di “nuova cristianità” era qualcosa come il precursore dello schema del teorico socialista Antonio Gramsci. Il programma di Gramsci riguarda una sottile forma di inganno semiotico. Le istituzioni religiose tradizionali dovevano essere gradualmente eviscerate ed inculcate attraverso la propaganda socialista. Tuttavia, l’iconografia religiosa standard sarebbe stata lasciata al suo posto. Lentamente, come Dio si dissolve, lo Stato onnipotente viene apoteosizzato. Allo stesso modo, il programma saintsimoniano comporta una strategia Fabiana per l’intronizzazione rituale della tecnocrazia. Il “nuovo cristianesimo” è stato pensato per essere una conseguenza di un’eventuale sussunzione della religione sotto la scienza.
Billington si espande sul programma sansimoniano circa l’ingegneria religiosa. Nel suo commento del 1802, Francois Dupis ne “Le origini di tutti i Culti delle Religioni Universali”, de Tracy ha suggerito che le religioni del passato non erano semplicemente un’insensata superstizione, ma – piuttosto – una sorta di linguaggio scientifico infantile: l’espressione generalizzata nel linguaggio impreciso del pensiero scientifico dell’epoca. Il rituale religioso era – del resto – socialmente necessario a drammatizzare principi scientifici per le persone ancora ignoranti. Saint-Simon vide il suo nuovo cristianesimo una vera e propria necessità per le masse. La sua morte non ha lasciato un concetto chiaro: se questa fede sia stata progettata per fornire la base morale per il nuovo ordine sociale o – più semplicemente – se questa sia una fede provvisoria fino a quando le masse non saranno state educate ad accettare un sistema totalmente scientista.
La Tecnocrazia – dunque – si situa sulla linea della crisi del conoscere e della sua sottomissione al fare, cancellando anche gli ultimi resti della filosofia, cui deve negare persino il diritto d’esistere anche nella forma snaturata contemporanea. Se le permettesse di sopravvivere, un suo più preciso uso potrebbe condurre l’uomo a comprendere la mistificazione formata dal miraggio del benessere e del bene comune proiettato in un futuro che non verrà mai e la illusorietà della eliminazione della conflittualità tra gli uomini, cioè l’insanabile contraddizione tra bene comune e riduzione economicistica dell’uomo.
Scatta su questo argomento quel divieto di fare domande che per Eric Voegelin è tratto diffuso del pensiero moderno. Chi chiede il perché del benessere come meta umana, come bene comune, non trova né deve trovare interlocutori.
Sarà possibile – di fatto – all’individuo esercitare un qualche controllo sulla legittimità del potere posseduto dal tecnocrate?
Alcune considerazioni sulle caratteristiche che assume oggi la figura dell’esperto, inducono a formulare forti dubbi. È sempre e soltanto il competente – nel mondo moderno – a definire la competenza; nel senso che soltanto l’esperto è in grado di conoscere il livello di preparazione specifica di eventuali altri esperti nel settore. Di conseguenza, soltanto i competenti possono giudicare della propria posizione di legittimità nei confronti del potere nella società tecnocratica.
La questione è in grave pericolo, primo dei quali l’espansione della burocrazia che ha sottratto sempre maggior spazio al potere politico e tendere ad annullarlo completamente in una società tecnocratica. Inoltre, dobbiamo considerare il crescente esoterismo della scienza e della tecnica contemporanee. Poiché gli argomenti si fanno sempre più difficili e complessi, sempre meno probabile ne è la comprensione da parte “dell’uomo della strada“, il quale potrà anche essere competentissimo nel proprio settore, senza per questo essere capace di intenderne un altro.
Proprio su questo argomento, Robert Funes scrive di “[…] un “uso strategico” della terminologia oscura al fine di impedire la conoscenza dei problemi ai non addetti ai lavori.”
Il ritrarsi della amministrazione della cosa pubblica nelle mani dei competenti ed il suo progressivo complicarsi scientifico e tecnico, rendono sempre più improbabile un qualsivoglia controllo di legittimità, sia da parte degli esclusi che dei responsabili di settori diversi da quello da giudicare.
Nella società tecnocratica la complessità degli argomenti sui quali il cittadino dovrebbe esser chiamato a giudicare, ne rende di fatto impossibile ogni valutazione. La legittimità parlerà – e non sempre – soltanto a chi sarà dotato di grande preparazione scientifica e tecnica, sempre più difficili da ottenere. Al vertice della piramide, ove non esistono competenze parallele a quelle del ristretto gruppo di sommi reggitori, soltanto questi potranno giudicare della propria legittimità.
La democrazia diretta non può operare che presso piccole comunità, quando queste si allargano, si deve trovare un modo per delegare ad un numero ristretto la facoltà di operare in nome e per conto della collettività. I rappresentanti della società non sono più coloro che si trovano in determinate posizioni, bensì coloro cui la generalità dei cittadini delega la rappresentanza della collettività.
Questo precisamente volevo arrivare a dimostrare.
La democrazia diretta è una trappola in cui è necessario cadere per una gestione migliore, completa e più autoritaria dell’uomo sull’uomo. Attenzione ai facili e falsi profeti che non possono più limitarsi – levandosi a volo sul far del crepuscolo come la nottola di Minerva – ad interpretare e registrare il proprio tempo che fugge od a impegnarsi nella lotta del momento. Non ci sono più bugie da raccontare, il tempo è finito.
La bicicletta diventerà il vostro INCUBO PEGGIORE.#sapevatelohttps://t.co/nOyYps0hHi pic.twitter.com/T9TFRM32ku
— Italia dei Dolori™ (@italiadeidolori) December 23, 2015
Il potere tecnocratico si trova dunque in una posizione ambigua ed invero sconcertante. Da un lato il “competente” deve dimostrare in ogni momento la propria competenza; dall’altro, si riduce sempre di più – sia col progredire della scienza sia risalendo verso l’alto della scala gerarchica – il numero di coloro che potranno esprimere un giudizio sulla sua stessa competenza.
Col procedere del tempo, l’esoterismo della scienza potrebbe condurre anche ad una vera e propria criptocrazia non voluta e non desiderata, perché i veri detentori del potere potrebbero non essere quelli posti nelle posizioni istituzionalmente importanti, bensì altri annidati in luoghi apparentemente secondari agli occhi di tutti, ma in realtà di effettive possibilità d’azione. Soltanto i loro colleghi più stretti – altrettanto esperti – potrebbero individuarne e comprenderne l’effettiva potenza, ma è ben pensabile allora la nascita di una spontanea solidarietà tra tutti coloro che avrebbero saputo individuare e scegliere con tanta cura e precisione i posti di comando e controllo effettivo, occultati dietro la migliore delle cortine fumogene: quella costituita dalla incompetenza altrui, cioè dalla impossibilità per gli altri di uscire dalla propria competenza limitata.
È proprio J. Meynaud ne “La Tecnocrazia” che avverte: “[…] In tale prospettiva, i governanti di tipo tradizionale potrebbero essere soppressi, come mantenuti nella scena, ma con attribuzioni meramente nominali (nel qual caso, non è certo che il cittadino si renderebbe pienamente conto delle modificazioni avvenute).”
E tutto ciò, è proprio quel che accade nell’ora presente.
Rappresentanza esistenziale, la definiva il grande Eric Voegelin.
BIBLIOGRAFIA
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